giovedì 8 gennaio 2009

L'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede: buoni come prima i rapporti col Vaticano. Il Papa sarà il benvenuto in Israele

I rapporti tra Israele e Vaticano sono ''buoni come prima'', secondo l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechai Lewy (nella foto con Benedetto XVI) , dopo le parole del card. Renato Raffaele Martino, che aveva equiparato Gaza ad un campo di concentramento, suscitando la reazione sdegnata del governo israeliano. A poche ore da un incontro con Benedetto XVI, Lewy ha detto in una intervista all'Ansa che ''stiamo vivendo un conflitto arduo con un nemico difficile'' e che ''la Chiesa cattolica ha agito bene'' lanciando un appello alla pace ad entrambe le parti. In questo contesto, le parole del presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace - ha dichiarato Lewy - ''sono state senza dubbio sopra le righe''. ''Gaza un lager? Significa che non ne ha mai visto uno in vita sua'': con queste parole l'ambasciatore Lewy ha comunque respinto, come aveva gia' fatto in precedenza il ministero degli esteri israeliano, le accuse del card. Martino, precisando subito però che ''non e' lui a guidare la diplomazia vaticana''. Le relazioni tra Santa Sede e Israele si reggono su ''basi solide'' - ha aggiunto il diplomatico - gli appelli del Papa alla pace ''sono giusti e servono a non abbandonare la speranza'', ma ''abbiamo di fronte un nemico molto difficile'' e occorre ''molta saggezza per risolvere i problemi''. Quando il Papa ha auspicato che le prossime elezioni in Medio Oriente portino ''dirigenti capaci'' di guidare il ''processo di pace'', ''non ha espresso una critica agli attuali leader'', sempre secondo il diplomatico, e ha comunque ''parlato al plurale'', riferendosi alle diverse consultazioni elettorali in programma nell'area. ''Oltre a Israele - ha ricordato Lewy - ci saranno a breve elezioni in altri Paesi, come l'Iran. Prima di lasciarsi andare a facili interpretazioni percio' - ha evidenziato - vanno considerati tutti gli elementi in gioco''. In ogni caso - ha continuato - ''lui ha diritto di esprimere la sua opinione, e questo non deve sorprendere''. L'ambasciatore ha poi dato un giudizio complessivamente positivo sulle parole fin qui pronunciate da Benedetto XVI in riferimento al conflitto israeliano-palestinese, sottolineando che esse sono volte ''a far sopravvivere la speranza, che e' sempre l'ultima a morire''. E se Benedetto XVI confermerà il suo intento di recarsi in Israele a maggio, ''sarà il benvenuto, ma abbiamo ancora tempo e non premiamo''. Lewy ha rimarcato che il viaggio, nonostante le molte indiscrezioni, non è ancora stato annunciato ufficialmente, e che ''sarà il Vaticano a decidere se e quando farlo'', perche' ''non vogliamo interferire in alcun modo con le sue decisioni''. L'ambasciatore, che nel novembre scorso aveva commentato le voci affermando che l'eventuale visita non sarebbe stata ''un normale incontro bilaterale'', ma un evento ''di portata storica'', ha inoltre osservato che ''una visita del Papa in Terra Santa sarebbe importante, come lo sono state quelle dei suoi predecessori, anche a prescindere dai rapporti con Israele''.

Il card. Canizares in partenza per Roma incontra a sorpresa Zapatero. Che discretamente cura i rapporti con il Vaticano

Spesso ai ferri corti con la Chiesa Cattolica sulle prime pagine dei giornali, ma discreto e attento ai rapporti col Vaticano, sia pure sottotraccia: il premier spagnolo José Luis Zapatero ha ricevuto ieri per più di un'ora il cardinale di Toledo Antonio Canizares (nella foto con Benedetto XVI), in partenza per Roma dove è stato nominato Prefetto del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Un incontro insolito, dato che Canizares è noto per essere uno dei più duri critici delle legislazioni 'laiciste' di Zapatero: e perciò oggi El Pais, giornale vicino al governo di Madrid, lo spiega con la volontà del leader di mantenere rapporti corretti con la Santa Sede, soprattutto in vista delle prossime riforme della legge sull'aborto e sulla libertà religiosa.
Canizares, d'altronde, è vicinissimo a Papa Benedetto XVI, ma anche alla vicepremier di Zapatero Maria Teresa Fernandez de la Vega. De la Vega, nota per essere dietro molte delle riforme sociali e del diritto civile nell''era Zapatero', lo è meno per il suo ottimo rapporto con Canizares. Pragmaticamente, i due trovarono alcuni anni fa un accordo sul finanziamento della Conferenza episcopale spagnola (Cee) grazie al quale a vario titolo entrano nelle sue casse ogni anno circa 5 miliardi di euro: con buona pace delle diversità ideologiche o 'morali' sbandierate sui media. Ma non basta: Canizares è anche d'accordo col governo (e col Vaticano) sulla necessità di porre fine all'incontinenza verbale del conduttore della radio dei vescovi spagnoli, la Cope: Federico Jimenez Losantos, accecato dalla sua ira contro Zapatero, ha già totalizzato varie centinaia di migliaia di euro di multe in condanne penali per diffamazioni contro membri della destra moderata e di partiti catalani ed è giunto nel 2007 fino ad auspicare l'abdicazione del re Juan Carlos, per non essersi opposto alle leggi di Zapatero. Un episodio che fece saltare gli allarmi nelle stanze vaticane, preoccupate per l'eccesso di estremismo del conduttore, il cui contratto è però blindato per volontà del presidente della Cee, l'ultraconservatore Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid.

Proprio oggi il Papa ha nominato mons. Carlos Osoro Sierra nuovo vescovo di Valencia, in Spagna, dove nel luglio di due anni fa lo stesso Benedetto XVI partecipò al V Incontro Mondiale delle Famiglie. Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi spagnola presentata dal card. Agustin Garcia-Gasco Vicente, esponente conservatore dell'episcopato spagnolo, che va in pensione per raggiunti limiti di età.

Viste da New York, Milano e Bologna ormai sono perdute: il professor Zerlenga spiega la nuova realtà dei musulmani in Europa

da http://www.ilfoglio.it/
8 gennaio 2009

“La preghiera islamica davanti al Duomo e a San Petronio equivale al messaggio ‘noi musulmani stiamo vincendo’”. Così Franco Zerlenga, che ha insegnato Storia dell’islam alla New York University, commenta le foto delle adunate di sabato. “In Europa – spiega – abbiamo creato un mostro senza saperlo. Per gli islamici si tratta sempre di una conquista. I musulmani arrivati dalle ex colonie inglesi cercavano di adattarsi alla nuova realtà, ma i loro figli, negli ultimi vent’anni, attraverso le scuole islamiche, sono cresciuti con la volontà di riportare tutto come era al principio, quando Maometto era capo di stato. Spesso gli europei hanno agito con codardia, mentre gli islamici dichiarano apertamente da che parte stanno. Contro Israele”. Per Zerlenga non esiste un islam politico e uno religioso, così come non esiste l’emigrazione islamica: “Contrariamente a quanto scritto da Gad Lerner su Repubblica, è semplicemente il primo passo del jihad. L’islam si sposta in un altro paese per dominarlo”.
Proprio come fece Maometto. L’integrazione è così finta che non esistono nemmeno i musulmani italiani: “Parlano italiano, ma la loro fedeltà è soltanto all’umma, la comunità politica dei credenti musulmani”. Nel paventare la possibilità di un dialogo interreligioso fra le due fedi monoteiste – smentito da Benedetto XVI – si sprecano i paralleli fra il Dio della religione cristiana e quello islamico. Che però non reggono, perché “Allah chiede la sottomissione degli infedeli”. A mancare, nel rapporto fra cristianesimo e islam, è la reciprocità. “Non esiste perché gli islamici si ritengono superiori. E hanno usato le stesse modalità per secoli: arrivano, conquistano e dominano. Per questo Joaquìn Navarro Valls sbaglia a sostenere che la preghiera musulmana davanti alle chiese rappresenta la nostra libertà”. Quello lanciato all’ombra della Madonnina è un messaggio più forte del raccoglimento religioso perché la preghiera islamica è sempre politica: “La moschea non è soltanto un luogo di preghiera, ma di attività politica. I musulmani conquistano gli spazi pubblici per motivi politici. Contrariamente a quanto sta accadendo alla cultura occidentale, i musulmani sono semplicemente coerenti con la loro identità, quella sancita dal Corano. Per questo gli islamici non potranno mai accettare il nostro quinto comandamento, ‘Non uccidere’”.
Secondo Zerlenga quella che accetta incondizionatamente le manifestazioni altrui è una concezione sbagliata del liberalismo. “Garantire agli islamici la libertà – dice – come suggerisce l’ex portavoce di Giovanni Paolo II non significa permettere loro di voler distruggere Israele. La tolleranza può esistere soltanto fra due elementi che stanno sullo stesso piano. Mentre l’islam non considera Israele e l’occidente al suo stesso livello. Quando Navarro Valls parla dei ‘mezzi espressivi’ usati dai fedeli islamici per esprimere il loro dissenso dimentica che non tutte le espressioni sono uguali, anche se si utilizzano modalità democratiche. Una manifestazione antisemita resta tale”. Così come sbaglia a considerare un segnale positivo l’abbigliamento occidentale dei fedeli islamici in preghiera. “La dissimulazione – spiega – è l’unico tipo di integrazione dei musulmani in Europa”.

Verso la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011: il cammino secondo il responsabile del Pontificio Consiglio per i Laici

di Anita S. Bourdin

Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Gioventù 2009 dovrebbe essere reso noto a breve, ma sono già stati diffusi i temi dei prossimi tre anni, che condurranno alla GMG del 2011 a Madrid.
Il nuovo responsabile della sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici, il sacerdote francese Eric Jacquinet, ha presentato a Zenit i prossimi tre temi e lo spirito con cui nella Santa Sede si sta già preparando l'incontro nella capitale spagnola, che avrà luogo dal 16 al 21 agosto 2011.
Il tema della prossima GMG, che si celebrerà a Roma e nelle altre diocesi del mondo la Domenica delle Palme 2009, è: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1Tm 4, 10).
Quello della Giornata successiva, che si celebrerà anch'essa a livello diocesano la Domenica delle Palme del 2010, sarà : “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17).
Il tema della XXVI Giornata Mondiale della Gioventà 2011 sarà invece: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr. Col 2, 7).
Quale dinamica seguono questi tre temi?
Ciascuno dei temi ha una propria logica. Il primo, per il 2009, parla della speranza. Il Papa invita i giovani a entrare nella vera speranza, la “grande speranza”, che solo Cristo può dare. E questa speranza la riceviamo nella Chiesa. Questo è fondamentale per i giovani, nel contesto attuale di crisi sociale ed economica.
In primo luogo perché la gioventù è il tempo della speranza per definizione: è il tempo dei progetti e della formazione iniziale per entrare nella vita. Appartiene inoltre ai giovani cristiani la missione di essere testimoni della speranza di fronte ai loro contemporanei, e infine perché, in ogni epoca, la società ha beneficiato dell'apporto dei giovani.
Basta considerare l'impatto dei giovani monaci nell'Europa medievale, o l'opera di San Francesco d'Assisi. Più di recente, il giovane Frédéric Ozanam ha fondato le Conferenze di San Vincenzo de' Paoli all'età di vent'anni. Molti giovani hanno partecipato alla vita del nostro mondo. Lo facevano perché avevano una grande speranza. Questa speranza si trova in Cristo, il Dio vivente, come afferma San Paolo, dopo aver fatto l'esperienza della via di Damasco. E fino alla sua morte ne sarà un testimone appassionato.
Il tema del 2010 parte dalla domande di un giovane ricco a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Nel 2010 festeggeremo il 25° anniversario della bella Lettera di Giovanni Paolo II ai giovani (1985), che era il commento a questo incontro del giovane ricco – che in qualche modo rappresenta tutti i giovani – con Gesù. La domanda riguarda l'azione: “Che cosa devo fare?”. Questo tema porterà all'impegno cristiano nel mondo, e l'obiettivo di questo impegno è ottenere la vita eterna. Capiamo così che questo tema è il prolungamento di quello precedente sulla speranza nella vita eterna.
Il tema della GMG di Madrid, infine, porta al radicamento nella fede in Cristo. Il Papa esorta regolarmente i giovani a coltivare una fede cristiana che si renda matura, solida. Li esorta a formarsi, per dar conto della speranza che è in loro.
Quello che il Papa offre ai giovani cristiani verso Madrid, in tre anni di preparazione, è quindi un vero cammino.
Come aiutare i giovani a vivere nelle nostre Diocesi?
Il Papa rivolgerà un messaggio ai giovani su ciascuno di questi temi. Il prossimo messaggio verrà pubblicato agli inizi del 2009. I giovani lo leggano! Il Papa scrive a loro. Scambino le idee su questo importante testo. Il Papa esorta inoltre i giovani delle Diocesi a organizzarsi ogni anno per vivere la GMG del loro Paese, nella Domenica delle Palme o in un altro momento. Si esortano quindi i responsabili della pastorale giovanile a organizzare qualcosa, secondo le possibilità, ma i giovani non devono aspettare passivamente le proposte. Non possono fare anch'essi progetti, presentare proposte ai loro Vescovi, ai sacerdoti, ai responsabili?
La formula della GMG ha ancora futuro o si sta esaurendo?
L'eco delle ultime GMG a Colonia e a Sydney mostra che la formula è lungi dall'esaurirsi. Al contrario, si sviluppa e tocca sempre più le nuove generazioni di giovani. I grandi incontri internazionali hanno una forma generale simile: una settimana in una metropoli, con la presenza del Papa, delegazioni di quasi tutti i Paesi, catechesi al mattino, un festival della gioventù che offre espressioni diverse della fede, una Via Crucis, tre interventi del Santo Padre, con il culmine dell'incontro nella veglia del sabato e nella Messa di chiusura della domenica.
Prima di questa settimana, molti gruppi arrivano in una Diocesi avvicinandosi a un aspetto anch'esso molto importante: l'accoglienza delle famiglie e delle parrocchie rinnova i giovani pellegrini e anche le Diocesi di accoglienza. Tutto questo produce molti frutti, per la grazia dello Spirito Santo. Questi frutti sono legati anche al fatto che i giovani si preparano per vari mesi alla GMG, e che i loro gruppi continuano in seguito. E si constata che, in tutti questi anni dal 1986, le GMG hanno formato generazioni di giovani, oggi impegnati nella Chiesa, con un raccolto di vocazioni sacerdotali e religiose, oltre alle coppie sposate che si sono conosciute nelle GMG! Le Giornate hanno anche dato un impulso alla pastorale giovanile in molti Paesi del mondo. La formula della GMG ha quindi ancora un brillante futuro davanti a sé!

'L'Osservatore Romano' commenta il discorso di Benedetto XVI al Corpo Diplomatico: non 'belle parole', ma un discorso realistico e concreto

Non ''belle parole'' ma un discorso ''realistico e concreto'' che dimostra come la Santa Sede sia in grado di abbracciare il mondo in uno ''sguardo complessivo che e' difficile riscontrare altrove'': e' il commento del direttore del L'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, sull'ampio panorama internazionale tracciato oggi da Papa Benedetto XVI nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Per Vian, il ''realismo'' della Santa Sede è ''finalizzato alla pace. Una pace certo lontana ma che ha tratti ben definiti: sicurezza e sviluppo sono oggi i nomi della pace''. ''E' trascorso un quarantennio dalle encicliche di Paolo VI ''Populorum progressio' e ''Humanae vitae' - conclude il direttore del quotidiano della Santa Sede ma il loro insegnamento a difesa della vita umana dalla poverta' e dalle manipolazioni finalizzate all'ingiustizia e' purtroppo ancora attuale. Per questo, anche se la voce dei cristiani spesso disturba al punto da provocare persecuzioni e intolleranze, il vescovo di Roma parla, e per questo le sue parole sono attese''.

La voce del vescovo di Roma - L'articolo di Giovanni Maria Vian

Il card. Martino: Gaza è un campo di concentramento. Nuova polemica tra Israele e Santa Sede

Santa Sede e Israele di nuovo ai ferri corti, mentre continua ad infuriare la battaglia a Gaza e si rende più problematico un viaggio del Papa in Terra Santa per il prossimo maggio. Ieri il card. Renato Raffaele Martino (foto), presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e personaggio di spicco della Curia romana, ha osservato che la Striscia "assomiglia sempre di piu' ad un campo di concentramento". Nella serata di ieri, è arrivata durissima la replica del governo israeliano, che ha accusato il porporato di usare la terminologia di "Hamas". In un'intervista al quotidiano on line www.ilsussidiario.net, Martino aveva lanciato l'ennesimo appello del Vaticano al dialogo, affermando che per trovare una soluzione al conflitto occorre "una volonta' da tutte e due le parti, perche' tutte e due sono colpevoli". "Israeliani e palestinesi sono figli della stessa terra - aveva aggiunto - e bisogna separarli, come si farebbe con due fratelli". "Se non riescono a mettersi d'accordo, allora qualcun altro deve sentire il dovere di farlo. Il mondo - aveva spiegato - non puo' stare a guardare senza far nulla". Fin qui, parole in linea con le esortazioni del Papa e di altri esponenti vaticani. Ma il paragone usato da Martino, "Gaza assomiglia sempre piu' ad un grande campo di concentramento" in cui "popolazioni inermi" pagano "le conseguenze dell'egoismo", è apparso intollerabile alle orecchie del governo israeliano. "Fare affermazioni che sembrano provenire direttamente dalla propaganda di Hamas e ignorare gli impronunciabili crimini commessi da quest'ultimo, che con la violenza ha fatto deragliare il processo di pace e ha trasformato la Striscia di Gaza in un gigantesco scudo umano, non aiuta la gente ad avvicinarsi alla verita' e alla pace", ha scandito, in serata, in una dichiarazione all'agenzia France Presse il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Igal Palmor.
A far montare l'irritazione israeliana hanno contribuito, con ogni probabilità, anche le dichiarazioni di numerosi esponenti della Chiesa cattolica di Terra Santa , i quali hanno sottolineato come Hamas debba essere considerato un interlocutore e non "un mostro" da Israele e dalla Comunita' Internazionale. Ultimo in ordine di tempo e' stato il vescovo di Nazareth, mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, che, lunedi' scorso, ha esortato lo Stato ebraico a "dialogare seriamente con i palestinesi, a partire da Hamas" se vuole arrivare veramente a una soluzione duratura. Marcuzzo, in una dichiarazione ad alcuni media italiani, ha anche avvertito che il protrarsi delle violenze a Gaza sta mettendo a rischio la prossima visita del Papa in Terra Santa poichè' la Santa Sede - ha detto - "sapra' certamente tirare le opportune conseguenze". Lo scambio di accuse odierne tra Gerusalemme e il card. Martino non faciliterà il compito dei diplomatici vaticani, palestinesi e israeliani impegnati nel definire il viaggio di Benedetto XVI in Israele, Giordania e Territori Palestinesi: una missione che presenta, al momento, troppe variabili incontrollabili.

"Forse bisognerebbe andarci piano con i confronti, ma se anche quella parola, 'campo di concentramento', fosse appropriata, bisognerebbe specificare subito chi ne tiene le chiavi, chi sono i carcerieri. Altrimenti si rischia, restando nel vago, di dar credito alla parola d'ordine 'Gaza come Auschwitz, ebrei come nuovi nazisti' tanto cara a certi movimenti di estrema sinistra filoislamista". Lo afferma il professor Giorgio Israel intellettuale ebreo, storico della matematica ed editorialista del L'Osservatore Romano. "Gaza - ricorda Isarel al card. Renato Raffaele Martino - poteva essere il primo nucleo del nuovo stato palestinese, dopo la fine dell'occupazione, e invece un movimento terrorista, Hamas, se ne e' impadronito facendone una piattaforma di lancio per missili verso Israele e una base da cui si prepara il nuovo capitolo dello scontro con l'entita' sionista da eliminare". "Eminenza - risponde Israel dalle stesse colonne de Il Sussidiario -, se non si parla chiaro,e non si dicono le cose con il nome e il cognome quell'ingiustizia che Lei giustamente depreca diventera' un nostro peccato". Sui siti cattolici piu' vicini al pensiero di Benedetto XVI le parole di Martino sono state criticate con argomenti simili. "Il risultato - afferma Sandro Magister sul suo blog Settimo Cielo - è che le parole di Martino hanno rumorosamente soverchiato quelle del Papa. Non solo. Hanno convalidato l'idea che, sotto sotto, il vero pensiero del Vaticano non e' quello misurato della diplomazia ufficiale, ma quello piu' brutale 'candidamente' formulato dal Cardinale". "Si pensa di rendere un servizio al Papa comportandosi come ci si sta comportando? Non e' ora di darci un taglio e di farla finita?", si chiede, infine, il Papa Ratzinger blog.

Il Corpo Diplomatico a Benedetto XVI: grati per il suo impegno a favore della pace nel mondo

La gratitudine del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per quanto Papa Benedetto XVI ha fatto durante il 2008, dal viaggio negli Stati Uniti a quello in Francia, per il suo discorso all’ONU, per il suo impegno per il dialogo interreligioso e “in favore della pace del mondo”. Ad esprimerla è stato questa mattina il nuovo decano del Corpo diplomatico accreditato presso il Vaticano, Alejandro Valladares Lanza (Honduras). “Santissimo Padre - ha detto l’ambasciatore -: noi abbiamo bisogno di dignità per l’uomo, di un ritorno ai valori morali e cristiani, di giustizia sociale, di dialogo interreligioso… Quanti cantieri di riflessione e quante sfide per il nostro tempo. La strada sarà lunga e difficile, gli ostacoli numerosi, ma è nostro dovere di uomini, che Dio ha voluto a sua immagine, rimboccarci le maniche e metterci al lavoro”. Il quadro che l’ambasciatore ha delineato al Santo Padre del 2008 è a tinte scure, perché costellato di “guerre dichiarate e ignorate, di atti di terrorismo cechi e sempre più violenti, di persecuzioni religiose e sofferenze umane causate dalle malattie e dalla fame”. Una “lista di drammi che seminano morte e desolazione e mettono in pericolo la vita di uomini, donne e bambini”. Nel suo discorso l’ambasciatore fa cenno anche alla “crisi finanziaria” che si è abbattuta “senza precedenti” lo scorso anno. “Capiamo - ha concluso l’ambasciatore rivolgendosi al Papa - che un così triste quadro mostri, se ce n’è bisogno, quanto sia importante, non solo leggere e ascoltare i vostri insegnamenti, ma anche spendere tutti i nostri sforzi, a qualsiasi razza o religione apparteniamo, perché essi diventino realtà per la nostra società umana divenuta oggi così fragile”. Nel suo discorso, il decano ha poi esortato i suoi colleghi affinché si adoperino per “sradicare il ricorso alla forza nella risoluzione dei conflitti internazionali, salvo - ha aggiunto - nei casi previsti e approvati dal Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Ed ha chiesto che “anche la lotta contro il terrorismo internazionale deve essere condotta dalla comunità internazionale attraverso le Nazioni Unite”.
Sono 177 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede, a cui vanno aggiunti le Comunita' Europee ed il Sovrano Militare Ordine di Malta e due Missioni a carattere speciale, quella della Federazione Russa, retta da un Ambasciatore, e l'Ufficio dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). A tutti i diplomatici accreditati presso la Santa Sede, Papa Benedetto XVI ha rivolto oggi il tradizionale discorso di inizio anno, dedicato a tracciare lo 'stato del mondo' agli occhi del Vaticano. L'ultimo Paese in ordine di tempo ad aver stabilito relazioni diplomatiche e' la Repubblica di Botswana, lo scorso 4 novembre. Nel 2008 la Santa Sede ha anche firmato, il 17 marzo, un Accordo con il Principato di Andorra sulla posizione del Vescovo di Urgell, lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Andorra, il matrimonio canonico, l'insegnamento della religione cattolica nella scuola e il sostentamente economico della Chiesa in Andorra. Il 29 maggio, la Santa Sede ha firmato un accordo con le Filippine sui beni culturali della Chiesa cattolica, mentre il 13 novembre ha firmato un Accordo con il Brasile che disciplina lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Brasile, il riconoscimento dei titoli di studio, l'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, il matrimonio canonico e il regime fiscale della Chiesa. Il 18 dicembre, infine, la Santa Sede ha firmato un Accordo con la Francia sul mutuo riconoscimento dei gradi e dei diplomi dell'insegnamento superiore.La Santa Sede e' presente all'ONU in qualita' di ''Stato osservatore'' ed e', inoltre, membro di 7 Organizzazioni o Agenzie del sistema ONU, osservatore in altre 8 e membro o osservatore in 5 Organizzazioni regionali.

Il discorso del Papa al Corpo Diplomatico della Santa Sede: per costruire la pace occorre ridare speranza ai poveri

Il 2008 è stato un anno segnato da ''gravi catastrofi naturali'', da ''sanguinosi conflitti nazionali o regionali'' e da ''attentati terroristici che hanno seminato la morte e la distruzione''; eppure, per Papa Benedetto XVI, all'alba del 2009 ''non dobbiamo scoraggiarci o diminuire l'impegno a favore di una cultura di pace''. Tracciando un ampio panorama delle crisi e delle 'zone calde' del mondo in un discorso rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per il tradizionale scambio d'auguri d'inizio anno, il Pontefice ha ammesso che ''nonostante tanti sforzi, la pace cosi' desiderata e' ancora lontana''. Tra le tragedie che hanno segnato l'anno appena concluso, Papa Ratzinger ha ricordato i disastri naturali in Vietnam, Birmania, Cina, Filippine, America Centrale, Caraibi, Colombia e Brasile e i conflitti e gli attentati in Afghanistan, India, Pakistan e Algeria. Malgrado questo panorama scoraggiante, per il Pontefice e' necessario ''raddoppiare i nostri sforzi per promuovere la sicurezza e lo sviluppo'' e ''ridare speranza ai poveri'' di fronte all'attuale crisi economica e finanziaria mondiale, alla ''crisi alimentare'' e al ''surriscaldamento climatico''.
Papa Benedetto XVI ha ribadito la sua condanna della ''opzione militare'' per risolvere i conflitti in Medio Oriente e, in particolare, in Terra Santa e ha auspicato che delle elezioni israeliane del prossimo 10 febbraio emergano ''dirigenti capaci di far avanzare con determinazione'' il processo di pace. Papa Ratzinger ha ribadito che l'attuale ''recrudescenza di violenza provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili'' e ''complica ancora la ricerca di una via d'uscita dal conflitto tra Israeliani e Palestinesi, vivamente desiderata da molti di essi e dal mondo intero''.''Una volta di piu' - ha proseguito il pontefice -, vorrei ripetere che l'opzione militare non e' una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente''. L'auspicio del Pontefice eè che, ''con l'impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore'' e che ''siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all'odio, alle provocazioni e all'uso delle armi''. Ma Papa Ratzinger è voluto andare piu' a fondo nella sua analisi, soffermandosi sulle molte ''scadenze elettorali cruciali'' dei prossimi mesi in Medio Oriente. Oltre ad Israele, l'Autorita' Palestinese, dove il mandato del presidente Abu Mazen e' già scaduto, dovrebbe andare alle urne ''molto presto'', forse già in aprile. In giugno, invece, sono previste le elezioni presidenziali in Iran. Di fronte a queste scadenze, il Pontefice ha auspicato che dalle urne ''emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione'' il processo di pace e di ''guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione''.
Il Papa ha poi ribadito una condanna severa della nuova corsa agli armamenti e al riarmo nuclerare in atto nel mondo. Il Vaticano, ha detto Benedetto XVI, segue ''con preoccupazione i sintomi di una crisi che emergono nel settore del disarmo e della non proliferazione nucleare'' e vuole ricordare ''che non siamo in grado di costruire la pace, quando la spesa militare sottrae enormi risorse umane e materiali per i progetti di sviluppo, specialmente dei popoli piu' poveri''. Papa Ratzinger ha anche ricordato come la Santa Sede sia stata tra i primi firmatari della Convenzione ONU sulle bombe a grappolo, ''un documento che ha l'obiettivo di rafforzare il diritto umanitario internazionale''.
Papa Benedetto XVI ha chiesto poi al ''mondo occidentale'' di non coltivare ''pregiudizi e ostilità contro i cristiani, semplicemente perchè, su certe questioni, la loro voce dissente''. Il Pontefice si è soffermato brevemente, senza fare riferimenti espliciti sui contrasti tra cattolici e laici sulle le diverse questioni. ''Una sana laicità della societ - ha detto ancora Papa Ratzinger ricordando il suo viaggio in Francia del settembre scorso - non ignora la dimensione spirituale e i suoi valori, perchè la religione non è un ostacolo, ma piuttosto un solido fondamento per la costruzione di una societa' piu' giusta e piu' libera''.
Il Papa ha anche confermato il suo prossimo viaggio in Africa, senza fare menzione invece della possibilità, annunciata da più parti ma ancora priva di un annuncio ufficiale, di recarsi in Israele a maggio. Nella panoramica dedicata al continente nero nel suo discorso, Papa Benedetto ha messo l'accento, come già nell'Angelus di domenica scorsa, sulla ''protezione dell'infanzia'': ''Molti bambini vivono il dramma dei rifugiati e dei trasferiti in Somalia, nel Darfour e nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di flussi migratori che riguardano milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario e che sono soprattutto private dei loro diritti elementari e feriti nella loro dignita'''. Ai governanti il Pontefice ha chiesto di ''prendere tutte le misure necessarie per risolvere i conflitti in corso e porre fine alle ingiustizie che li hanno provocati''. Benedetto XVI ha anche auspicato che, in Somalia, ''la restaurazione dello Stato possa infine progredire affinche' cessino le interminabili sofferenze degli abitanti di tale Paese'', mentre allo Zimbabwe ha dedicato solo un breve accenno di passaggio, senza citare la crisi politica e il governo Mugabe ma parlando genericamente di ''situazione critica'' e della necessita' di ''considerevoli aiuti umanitari''.
Nel vasto affresco del panorama globale tracciato oggi nel suo discorso di inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, non poteva mancare il riferimento all'America Latina, la parte del mondo dove vivono la maggioranza dei cattolici del pianeta.''Anche là i popoli desiderano vivere in pace, liberati dalla poverta' e potendo liberamente esercitare i loro diritti fondamentali'', ha osservato il Pontefice, che ha poi auspicato, riferendosi con ogni probabilità alle leggi restrittive sull'immigrazione adottate dagli Stati Uniti, che ''i bisogni di coloro che emigrano siano presi in considerazione da legislazioni che facilitino il ricongiungimento familiare e concilino le legittime esigenze della sicurezza e quelle dell'inviolabile rispetto della persona''. Nel suo discorso, il Papa ha lodato ''l'impegno prioritario di certi governi per ristabilire la legalità e condurre una lotta senza compromessi contro il traffico di stupefacenti e la corruzione''. Si tratta di Paesi come la Colombia e il Messico, da anni impegnati in una lotta senza quartiere ai narcotrafficanti. Benedetto XVI ha anche ricordato ''la recente firma dell'Accordo tra la Santa Sede e il Brasile'' che ''facilita il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa e rafforza ancor più la sua collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo integrale della persona'' e l'anniversario della mediazione pontificia che, trent'anni fa, mise fine alla vertenza tra l'Argentina e il Cile sulla zona australe.''La Chiesa - ha osservato Papa Ratzinger - accompagna da cinque secoli i popoli dell'America latina, condividendo le loro speranze e le loro preoccupazioni. I suoi Pastori sanno che per favorire un autentico progresso della società il loro specifico compito à quello di illuminare le coscienze e di formare dei laici capaci di intervenire con coraggio nelle realta' temporali, mettendosi al servizio del bene comune''.
Infine sulla situazione in Kosovo, il Papa ha detto che ''la Santa Sede continua il suo impegno per la stabilita' nella regione e spera che si continueranno a creare le condizioni per un avvenire di riconciliazione e di pace tra le popolazioni della Serbia e del Kosovo, nel rispetto delle minoranze''. Il Pontefice ha anche invitato a non ''dimenticare la difesa del prezioso patrimonio artistico e culturale cristiano, che costituisce una ricchezza per tutta l'umanita''.


L'incontro familiare tra il Papa e il Coro della Cappella Sistina: un gioia per il cuore ascoltare questi cantori

“E’ una gioia per il cuore essere proprio in Sistina ad ascoltare questi cantori!” Parola di Benedetto XVI. Ormai è una tradizione. Per la quarta volta nel tempo di Natale il Papa si concede un incontro privato con i cantori della Cappella Musicale Pontificia “Sistina” (foto). Le voci bianche dei pueri si intrecciano con le voci degli adulti diretti dal 1997 dal siciliano mons. Giuseppe Liberto, musicista, compositore, scrittore e poeta, chiamato a Roma da Giovanni Paolo II , “rubato” alla Schola cantorum della cattedrale di Monreale, di cui, a volte, sente un po’ di nostalgia. “Il colore di questi canti è tutto mediterraneo!”, ha commentato il Papa salutando direttore e cantori dopo lo scambio di doni e dolci per i bambini. Un incontro di famiglia che mette in mostra la sensibilità di Joseph Ratzinger che ha voluto parlare con tutti i cantori nonostante l’abbassamento di voce che lo aveva colpito. Quest’anno oltre al programma gregoriano, di Palestrina, di Da Victoria e Perosi il Papa ha ascoltato in prima esecuzione assoluta un brano speciale dedicato al fratello Georg per i suoi 85 anni . “Vivere in Christo” è un elegante mottetto che la Sistina ha donato all’ex direttore del coro di voci bianche di Ratisbona. Ispirato al testo paolino è una meditazione in musica. Il 17 gennaio saranno L'orchestra e il Coro dei 'Regensburger Domspatzen' ad eseguire per la circostanza la c-moll-Messe di Wolfgang Amadeus Mozart, ma quella è una celebrazione ufficiale, anche molto discussa dalla diocesi per i costi elevati. Altra atmosfera invece il 6 pomeriggio. C’è feeling tra la Sistina e il Papa, tra il maestro Liberto e il musicista Joseph Ratzinger. Tra i doni al Papa in questo quarto incontro speciale il libro “Parola fatta canto”, una raccolta di riflessioni sulla musica per la liturgia. Per l’ occasione sono state dedicate a Benedetto XVI anche le nuove sale del Vestiario, dove i cantori delle Sistina si preparano prima delle celebrazioni pontificie. Al papa è stato portato un organo, che sarà nel Vestiario ricevuto da una diocesi tedesca. Un modi di dire grazie al Papa per “l’attenzione affettuosa che costantemente rivolge alla sua Cappella Musicale Sistina. Un modo per rispondere a chi vedeva imminente la partenza di mons. Liberto perché con uno stile troppo “conciliarista” rispetto ad una nuova linea più “tradizionale” nelle cerimonie papali voluta da mons. Guido Marini. In effetti il Papa dimostra di apprezzare molto il lavoro della Sistina, tanto che, oltre ad averne la presenza costante nelle celebrazioni nella Basilica di San Pietro, ha voluto che la Schola cantasse per il presidente Bush in visita in Vaticano la scorsa estate. E poi il maestro è stato confermato alla direzione “donec aliter provideatur”,cioè “fino a che non si provveda altrimenti”, una conferma in pratica, senza scadenza precisa. Mons. Giuseppe Liberto resta uno dei pochi della vecchia squadra di liturgisti di Giovanni Paolo II. Ma la musica della Sistina, la polifonia di Perosi e Liberto, il gregoriano e i canti della tradizione popolare riscritti per far esprimere al massimo la piccola e leggendaria schola cantorum, piacciono a Benedetto XVI, che ogni anno “regala” una esecuzione speciale al fratello musicista. E ogni anno mons. Liberto regala al Papa qualcuno dei suoi spartiti. Chi sa se Joseph Ratzinger li prova al pianoforte.