giovedì 1 aprile 2010

Messa della Cena del Signore. Il Papa: la Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù, garanzia che l’annuncio degli Apostoli non cesserà mai nella storia

Nella Basilica di San Giovanni in Laterano Papa Benedetto XVI ha presieduto la Santa Messa nella Cena del Signore, con la quale ha inizio il Triduo Pasquale. Durante il rito, come da tradizione, il Pontefice ha vestito un grembiule banco e si è chinato a lavare i piedi a dodici sacerdoti, come segno di ''servizio'' ai fratelli, rievocando il gesto compiuto da Gesù con gli apostoli. Al momento della presentazione dei doni è affidata al Papa un'offerta per la ricostruzione del seminario di Port-au-Prince in Haiti.
Nell’omelia, il Papa ha evidenziato come nella preghiera di Gesù, raccontata da Giovanni, c’è innanzitutto la frase: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo". "Ogni essere umano - ha commentato Benedetto XVI - vuole vivere. Desidera una vita vera, piena, una vita che valga la pena, che sia una gioia. Con l’anelito alla vita è, al contempo, collegata la resistenza contro la morte, che tuttavia è ineluttabile. Quando Gesù parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso. Ma come si realizza questo? Che cosa è mai questa vita veramente eterna, alla quale la morte non può nuocere?”. La risposta di Gesù è nelle parole “che conoscano te – Dio – e il tuo Inviato, Gesù Cristo. Con nostra sorpresa, lì ci viene detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa dà pienezza alla vita, la rende bella".
"Ma proprio per questo, la distruzione della relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo attraverso di esse”. “La nostra vita” diventa “autentica, vera e così anche eterna, se conosciamo Colui che è la fonte di ogni essere e di ogni vita. Così la parola di Gesù diventa un invito per noi: diventiamo amici di Gesù, cerchiamo di conoscerLo sempre di più!”. Allora “viviamo veramente”. Gesù porta a termine ciò che era iniziato con Mosè presso il roveto ardente: mostra il suo Volto. L’immagine del “Dio con noi” si manifesta nell’incarnazione di Cristo, uomo, e quindi vicino, ma anche Dio, eterno e infinito: “In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine, perché Egli si è mostrato, perché Egli - l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione - è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare”. Il Papa si è quindi soffermato sulla “rivelazione del nome di Dio” della quale nel corso della Preghiera sacerdotale Gesù parla due volte. “Dio, che è infinito e sussiste in se stesso – ha spiegato -, entra nell’intreccio di relazioni degli uomini” e “questo essere di Dio con il suo popolo si compie nell’incarnazione del Figlio”. Pertanto “il mistero eucaristico, la presenza del Signore sotto le specie del pane e del vino è la massima e più alta condensazione di questo nuovo essere-con-noi di Dio”. “La richiesta più nota della Preghiera sacerdotale è la richiesta dell’unità per i discepoli, per quelli di allora e quelli futuri” ha affermato ancora Benedetto XVI. “Innanzitutto”, ha spiegato il Papa, il Signore “prega per i discepoli di quel tempo e di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso l’ampiezza della storia futura. Vede i pericoli di essa e raccomanda questa comunità al cuore del Padre. Egli chiede al Padre la Chiesa e la sua unità”.
È stato detto, ha osservato Benedetto XVI, “che nel Vangelo di Giovanni la Chiesa non compare. Qui, invece, essa appare nelle sue caratteristiche essenziali: come la comunità dei discepoli che, mediante la parola apostolica, credono in Gesù Cristo e così diventano una cosa sola”. Gesù “implora la Chiesa come una ed apostolica. Così questa preghiera è propriamente un atto fondante della Chiesa” che “nasce dalla preghiera di Gesù e mediante l’annuncio degli Apostoli”. I credenti, ha evidenziato il Papa, sono chiamati a vivere “nell’interiore comunione con Dio e con Gesù Cristo” e occorre “che da questo essere interiormente nella comunione con Dio si crei l’unità visibile”. Due volte, ha precisato, “il Signore dice che questa unità dovrebbe far sì che il mondo creda alla missione di Gesù”. “La preghiera di Gesù – ha sottolineato il Papa - ci dà la garanzia che l’annuncio degli Apostoli non potrà mai cessare nella storia; che susciterà sempre la fede e raccoglierà uomini nell’unità – in un’unità che diventa testimonianza per la missione di Gesù Cristo”. Ma questa preghiera, ha ammonito Benedetto XVI, “è sempre anche un esame di coscienza per noi. In quest’ora il Signore ci chiede: vivi tu, mediante la fede, nella comunione con me e così nella comunione con Dio?” o “sei forse colpevole della divisione che oscura la mia missione nel mondo, perché preclude agli uomini l’accesso all’amore di Dio?”. Nel rilevare che “il vedere tutto ciò che minaccia, distrugge l’unità” è stata “una componente della Passione storica di Gesù e rimane una parte di quella sua Passione che si prolunga nella storia”, il Pontefice ha concluso: “Quando noi meditiamo sulla Passione del Signore, dobbiamo anche percepire il dolore di Gesù per il fatto che siamo in contrasto con la sua preghiera; che facciamo resistenza al suo amore; che ci opponiamo all’unità, che deve essere per il mondo testimonianza della sua missione”.

Asca, SIR, Radio Vaticana


Messa del Crisma. Il Papa: i cristiani non accettino ingiustizie elevate a diritti e siano persone di pace. Non manchi nei sacerdoti la misericordia

“Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di sé”: si è aperta con queste parole l’omelia di Benedetto XVI durante la Santa Messa del Crisma, celebrata questa mattina nella Basilica di San Pietro. La Messa è stata concelebrata dal Santo Padre con i cardinali, i vescovi ed i presbiteri diocesani e religiosi presenti a Roma. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, sono stati benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma. “Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali, - ha proseguito il Papa - attraverso doni del creato che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso. Sono quattro gli elementi della creazione con i quali è costruito il cosmo dei Sacramenti: l’acqua, il pane di frumento, il vino e l’olio di oliva”. Il Papa ha quindi esaminato uno ad uno questi “elementi della creazione”, collegandoli alla storia della Rivelazione divina. “L’acqua come elemento basilare e condizione fondamentale di ogni vita è il segno essenziale dell’atto in cui, nel Battesimo, si diventa cristiani, della nascita alla vita nuova. Mentre l’acqua è l’elemento vitale in genere e quindi rappresenta l’accesso comune di tutti alla nuova nascita da cristiani, gli altri tre elementi appartengono alla cultura dell’ambiente mediterraneo. Essi rimandano così al concreto ambiente storico in cui il cristianesimo si è sviluppato”. “Dio ha agito in un luogo ben determinato della terra, ha veramente fatto storia con gli uomini – ha proseguito il Papa sottolineando le caratteristiche ambientali e storiche della rivelazione -. Questi tre elementi, da una parte, sono doni del creato e, dall’altra, sono tuttavia anche indicazioni dei luoghi della storia di Dio con noi. Sono una sintesi tra creazione e storia: doni di Dio che ci collegano sempre con quei luoghi del mondo, nei quali Dio ha voluto agire con noi nel tempo della storia, diventare uno di noi”. Passando ad analizzare i “tre elementi”, ha poi affermato: “Il pane rinvia alla vita quotidiana. È il dono fondamentale della vita giorno per giorno. Il vino rinvia alla festa, alla squisitezza del creato, in cui, al contempo, può esprimersi in modo particolare la gioia dei redenti. L’olio dell’ulivo ha un significato ampio. È nutrimento, è medicina, dà bellezza, allena per la lotta e dona vigore”.
Per quest’ultimo elemento ha poi spiegato che “la parola ‘cristiani’, infatti, con cui i discepoli di Cristo vengono chiamati già all’inizio della Chiesa proveniente dai pagani, deriva dalla parola ‘Cristo’ – traduzione greca della parola ‘Messia’, che significa ‘Unto’”. “L’olio di oliva – ha notato - è così in modo del tutto particolare simbolo della compenetrazione dell’Uomo Gesù da parte dello Spirito Santo". Il Papa ha proseguito l'omelia sul significato di alcuni “elementi” parlando della liturgia circa gli “oli santi”. “Nella Messa crismale del Giovedì Santo – ha detto - gli oli santi stanno al centro dell’azione liturgica. Vengono consacrati nella cattedrale dal vescovo per tutto l’anno. Esprimono così anche l’unità della Chiesa, garantita dall’Episcopato...Al contempo, tengono insieme tutto l’anno liturgico, ancorato al mistero del Giovedì Santo. Infine, rimandano all’Orto degli Ulivi, in cui Gesù ha accettato interiormente la sua Passione”. “L’Orto degli Ulivi – ha spiegato - è però anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione: Dio non ha lasciato Gesù nella morte. Gesù vive per sempre presso il Padre, e proprio per questo è onnipresente, sempre presso di noi”. La spiegazione da parte di Benedetto XVI è proseguita collegando l’olio ad alcuni sacramenti: “Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre ‘attivo’ nell’olio sacramentale della Chiesa – ha detto -. In quattro Sacramenti l’olio è segno della bontà di Dio che ci tocca: nel Battesimo, nella Cresima come Sacramento dello Spirito Santo, nei vari gradi del Sacramento dell’Ordine e, infine, nell’Unzione degli infermi, in cui l’olio ci viene offerto, per così dire, quale medicina di Dio”. Parlando dell’olio e quindi dell’albero che lo genera, l’ulivo, il Papa ha poi notato che tale pianta sia divenuta “simbolo della pace”. Da ciò il riferimento al dovere dei cristiani (gli “unti”) di “seguire il diritto, che è il fondamento della pace”. Ha infatti spiegato: “Anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un’ingiustizia che viene elevata a diritto – per esempio, quando si tratta dell’uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui San Pietro dice: ‘Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia”. “La lotta dei cristiani – ha detto il Pontefice – consisteva e consiste non nell'uso della violenza, ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire per il bene, per Dio”.
Per loro, la pace è un valore che discende direttamente da Dio e che è frutto del sacrificio di Gesù: “I cristiani dovrebbero quindi essere persone di pace, persone che riconoscono e vivono il mistero della Croce come mistero della riconciliazione. Cristo non vince mediante la spada, ma per mezzo della Croce. Vince superando l'odio. Vince mediante la forza del suo amore più grande...Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo, uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande dell'amore”. E per i sacerdoti c’è un significato ancora più alto da tenere in considerazione, ha insistito Benedetto XVI. L’olio, che in greco si dice elaion, col quale i nuovi presbiteri vengono consacrati è strettamente connesso al concetto di misericordia, che in greco si dice eleos. Un collegamento che implica una responsabilità ben chiara: “L'unzione per il sacerdozio significa pertanto sempre anche l'incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita non dovrebbe mai venir a mancare l'olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo presso il Signore - nell'incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel trattenerci in preghiera presso di Lui”. Nella parte conclusiva dell’omelia il Papa ha toccato il tema della letizia, secondo la definizione “olio di letizia” nel salmo 45: "E' una cosa diversa dal divertimento o dall’allegria esteriore che la società moderna si auspica. Il divertimento, nel suo posto giusto, è certamente cosa buona e piacevole. E’ bene poter ridere”. “Ma – ha proseguito – il divertimento non è tutto. E’ solo una piccola parte della nostra vita, e dove esso vuol essere il tutto diventa una maschera dietro la quale si nasconde la disperazione o almeno il dubbio se la vita sia veramente buona, o se non sarebbe forse meglio non esistere invece di esistere”. Viceversa, ha concluso Benedetto XVI, “la gioia, che da Cristo ci viene incontro, è diversa. Essa ci dà allegria, sì, ma certamente può andar insieme anche con la sofferenza. Ci dà la capacità di soffrire e, nella sofferenza, di restare tuttavia intimamente lieti”.

SIR, Radio Vaticana

SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA - il testo integrale dell'omelia del Papa