venerdì 2 aprile 2010

Via Crucis. Il Papa: la morte di Gesù sorgente di vita, le nostre delusioni e amarezze che sembrano il crollo di tutto sono illuminate dalla speranza

In una suggestiva cornice di migliaia di candele accese, si è svolta al Colosseo la Via Crucis del Venerdì Santo presieduta da Benedetto XVI. Le 14 stazioni, dalla condanna a morte di Gesù alla deposizione di Cristo nel sepolcro, sono scandite dalle meditazioni del card. Camillo Ruini, vicario generale emerito di Sua Santità per la diocesi di Roma, al quale sono stati affidati i testi a commento. Un rito aperto dalla preghiera del Papa, nella quale ha chiesto anche di liberarci "dalla presunzione un po’ ridicola di ritenerci autosufficienti” e di “riconoscere senza ipocrisie il male che è dentro di noi”. Ad aprire la processione, il cardinale vicario Agostino Vallini, il primo a trasportare la croce seguito da una serie di "cirenei": due cattolici iracheni, due fedeli di Haiti, un malato accompagnato da volontari Unitalsi, una famiglia, due frati francescani della Custodia di Terra Santa, una vietnamita e una congolese. Benedetto XVI ha presieduto la cerimonia, per la quinta volta dall'inizio del suo pontificato. Il Papa è parso assorto quasi più del solito e particolarmente commosso. Al termine della processione il Papa, dal palco allestito sul Palatino, ha preso tra le sue mani la croce e ha benedetto, nel silenzio della notte, i fedeli raccolti ai piedi del Colosseo; poi ha rivolto ai presenti un breve discorso e ha impartito la benedizione.
“In preghiera, con animo raccolto e commosso, abbiamo percorso questa sera il cammino della Croce” ma “in questo momento non dobbiamo limitarci ad una compassione dettata solo dal nostro debole sentimento”, piuttosto vogliamo “sentirci partecipi della sofferenza di Gesù, vogliamo accompagnare il nostro Maestro condividendo la Sua passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, nella vita del mondo, perché sappiamo che nella Croce del Signore, nell’amore senza limiti che dona tutto se stesso, sta la sorgente della grazia, della liberazione, della pace, della salvezza”.
Nella riflessione al termine della Via Crucis, Benedetto XVI ha invitato a “guardare questo mistero della Passione per apprendere l’immensa lezione d’amore che Dio ci ha dato sulla Croce, perché nasca in noi un rinnovato desiderio di convertire il nostro cuore vivendo ogni giorno lo stesso amore, l’unica forza capace di cambiare il mondo”. Da quando Gesù è sceso nel Sepolcro, ha proseguito il Santo Padre, “la tomba e la morte non sono più luogo senza speranza dove la storia si chiude nel fallimento più totale” e “il Venerdì Santo è il giorno della speranza più grande”. Citando l’immagine del chicco di grano che muore per dare frutti, il Pontefice ha affermato che “Gesù è il chicco di grano che cade nella terra, si spezza, si rompe, muore e per questo può portare frutto”. “Dal giorno in cui Cristo vi è stato innalzato la Croce, che appare come il segno dell’abbandono, della solitudine, del fallimento, è diventata un nuovo inizio”, ha spiegato il Santo Padre, e “dalla profondità della morte si innalza la promessa della vita eterna”. “Nel silenzio di questa notte, toccati dall’amore sconfinato di Dio viviamo nell’attesa del terzo giorno - ha aggiunto il Papa -, l’alba della vittoria dell’amore di Dio, l’alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere che la vita, le difficoltà, la sofferenza, i nostri insuccessi, le nostre delusioni che sembrano segnare il crollo di tutto sono illuminate dalla speranza”. Chiedendo al Signore il dono “di portare con amore la nostra Croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della Tua Pasqua”, Benedetto XVI ha concluso ricordando che “dal tradimento può nascere l’amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall’odio l’amore”.

SIR, La Repubblica.it

VIA CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE - il testo integrale del discorso del Papa

Il Papa celebra la Passione di Gesù. Padre Cantalamessa: nel farsi vittima ha cambiato segno alla vittoria, è il miglior alleato contro la violenza

Papa Benedetto XVI ha presieduto questo pomeriggio nella Basilica Vaticana la celebrazione della Passione del Signore. Durante la Liturgia della Parola è stato riascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni. Scalzo in segno di umiltà nei confronti di Dio, Benedetto XVI si è inchinato davanti al crocifisso e l'ha baciato, nel momento dell'adorazione della Croce: il Papa ha così aperto la processione di cardinali, vescovi e presbiteri che si sono inchinati dopo di lui davanti al crocifisso. La Liturgia della Passione si è conclusa con la Santa Comunione.
Nell'omelia padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, si è chiesto se si può continuare a parlare di sacrificio, a proposito della morte di Cristo e quindi della Messa: sì, “a patto di vedere, in quello di Cristo, un genere nuovo di sacrificio, e di vedere in questo cambiamento di significato 'il fatto centrale nella storia religiosa dell’umanità'”. “Visto in questa luce – ha proseguito padre Cantalamessa –, il sacrificio di Cristo contiene un messaggio formidabile per il mondo d’oggi. Grida al mondo che la violenza è un residuo arcaico, una regressione a stadi primitivi e superati della storia umana e – se si tratta di credenti – un ritardo colpevole e scandaloso nella presa di coscienza del salto di qualità operato da Cristo”. Non solo: “Ricorda anche che la violenza è perdente. In quasi tutti i miti antichi la vittima è lo sconfitto e il carnefice il vincitore. Gesù ha cambiato segno alla vittoria. Ha inaugurato un nuovo genere di vittoria che non consiste nel fare vittime, ma nel farsi vittima”.
Per il predicatore della Casa pontificia, “il valore moderno della difesa delle vittime, dei deboli e della vita minacciata è nato sul terreno del cristianesimo, è un frutto tardivo della rivoluzione operata da Cristo”. “Appena si abbandona (come ha fatto Nietzsche) la visione cristiana per riportare in vita quella pagana – ha osservato padre Cantalamessa –, si smarrisce questa conquista e si torna ad esaltare 'il forte, il potente, fino al suo punto più eccelso, il superuomo', e si definisce quella cristiana 'una morale da schiavi', frutto del risentimento impotente dei deboli contro i forti”. Purtroppo, però, ha rilevato il predicatore della Casa pontificia, “la stessa cultura odierna che condanna la violenza, per altro verso, la favorisce e la esalta. Ci si straccia le vesti di fronte a certi fatti di sangue, ma non ci si accorge che si prepara ad essi il terreno con quello che si reclamizza nella pagina accanto del giornale o nel palinsesto successivo della rete televisiva”. In realtà, “il gusto con cui si indugia nella descrizione della violenza e la gara a chi è il primo e il più crudo nel descriverla non fanno che favorirla”. Il risultato “non è una catarsi del male, ma un incitamento ad esso. È inquietante che la violenza e il sangue siano diventati uno degli ingredienti di maggior richiamo nei film e nei videogiochi, che si sia attirati da essa e ci si diverta a guardarla”. C'è violenza tra i giovani negli stadi e nelle piazze, c'è la violenza sui bambini e quella sulle donne. Di violenza sulle donne si parla poco, secondo padre Cantalamessa, ma è “una violenza tanto più grave in quanto si svolge spesso al riparo delle mura domestiche, all’insaputa di tutti, quando addirittura essa non viene giustificata con pregiudizi pseudo-religiosi e culturali”.
Le vittime “si ritrovano disperatamente sole e indifese. Solo oggi, grazie al sostegno e all’incoraggiamento di tante associazioni e istituzioni, alcune trovano la forza di uscire allo scoperto e denunciare i colpevoli”. Per il predicatore della Casa pontificia, “la violenza contro la donna non è mai così odiosa come quando si annida là dove dovrebbe regnare il reciproco rispetto e l’amore, nel rapporto tra marito e moglie. È vero che la violenza non è sempre e tutta da una parte sola, che si può essere violenti anche con la lingua e non solo con le mani, ma nessuno può negare che nella stragrande maggioranza dei casi la vittima è la donna”. Giovanni Paolo II, ha ricordato p.Cantalamessa, “ha inaugurato la pratica delle richieste di perdono per torti collettivi. Una di esse, tra le più giuste e necessarie, è il perdono che una metà dell’umanità deve chiedere all’altra metà, gli uomini alle donne. Essa non deve rimanere generica e astratta. Deve portare, specie chi si professa cristiano, a concreti gesti di conversione, a parole di scusa e di riconciliazione all’interno delle famiglie e della società”. Per una rara coincidenza, ha rammentato padre Cantalamessa, “quest’anno la nostra Pasqua cade nelle stessa settimana della Pasqua ebraica che ne è l’antenata e la matrice dentro cui si è formata. Questo ci spinge a rivolgere un pensiero ai fratelli ebrei. Essi sanno per esperienza cosa significa essere vittime della violenza collettiva e anche per questo sono pronti a riconoscerne i sintomi ricorrenti”. Il predicatore ha quindi letto una parte di una lettera ricevuta da un amico ebreo, che scrive: “Sto seguendo con disgusto l'attacco violento e concentrico contro la Chiesa, il Papa e tutti i fedeli da parte del mondo intero. L'uso dello stereotipo, il passaggio dalla responsabilità e colpa personale a quella collettiva mi ricordano gli aspetti più vergognosi dell'antisemitismo. Desidero pertanto esprimere a lei personalmente, al Papa e a tutta la Chiesa la mia solidarietà di ebreo del dialogo e di tutti coloro che nel mondo ebraico (e sono molti) condividono questi sentimenti di fratellanza”.

SIR

Padre Cantalamessa: “Abbiamo un grande Sommo Sacerdote" - il testo integrale dell'omelia del predicatore della Casa Pontificia

Nel Venerdì Santo 2005 le parole del card. Ratzinger alla Via Crucis: quanta sporcizia c’è nella Chiesa, tra coloro che dovrebbero appartenere a Gesù

Per la quinta volta dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI presiederà questa sera, alle 21.15, il rito della Via Crucis al Colosseo. Le meditazioni sono state composte dal card. Camillo Ruini e fra gli altri due iracheni porteranno la croce. La memoria non può non tornare alla sera di quel 25 marzo 2005, quando le riflessioni della Via Crucis di quel Venerdì Santo furono scritte da colui che, meno di un mese dopo, sarebbe diventato Successore dell'apostolo Pietro. Dalla “sorte del chicco grano” il card. Ratzinger si lascia ispirare nelle meditazioni che in quella sera di cinque anni fa tagliano l’aria con la schiettezza di pensiero che il mondo presto imparerà a scoprire.
Gesù è condannato a morte, la folla gli inveisce contro, e Joseph Ratzinger fa risaltare quell’ipocrisia da poco prezzo che spesso si nota in tante piazze del mondo: “Urlano perché urlano gli altri e come urlano gli altri. E così – scrive – la giustizia viene calpestata per vigliaccheria, per pusillanimità, per paura del diktat della mentalità dominante”. “Il prezzo della giustizia – riconosce nella seconda stazione – è sofferenza in questo mondo” e prega: “Signore, ti sei lasciato deridere e oltraggiare. Aiutaci a non unirci a coloro che deridono chi soffre e chi è debole. Aiutaci a riconoscere in coloro che sono umiliati ed emarginati il tuo volto. Aiutaci a non scoraggiarci davanti alle beffe del mondo quando l’obbedienza alla tua volontà viene messa in ridicolo”. Ma sono le tre cadute di Gesù sotto il peso della Croce a suggerire al futuro Papa affermazioni vibranti, che sanno di un magistero finora maturato nel segreto dell’anima o enunciato nella sobrietà di un’aula universitaria e che ora, per uno sconosciuto disegno, erompono in pubblico, quasi prestando la voce al grande Pontefice e amico che ha perso la sua: “Signore Gesù, il peso della croce ti ha fatto cadere per terra. Il peso del nostro peccato, il peso della nostra superbia ti atterra...La superbia di pensare che siamo in grado di produrre l’uomo ha fatto sì che gli uomini siano diventati una sorta di merce, che vengano comprati e venduti, che siano come un serbatoio di materiale per i nostri esperimenti, con i quali speriamo di superare da noi stessi la morte, mentre, in verità, non facciamo altro che umiliare sempre più profondamente la dignità dell’uomo”. Dalla superbia dell’uomo a quella delle “grandi ideologie”. E’ la settima stazione: Gesù ha incontrato sua madre, ha l’aiuto del Cireneo, ma cade di nuovo. In ciò, il card. Ratzinger vede l’ombra della cristianità che, scrive, “stancatasi della fede” ha abbandonato Cristo, sedotta da quel “nuovo paganesimo” che “volendo accantonare definitivamente Dio, ha finito per sbarazzarsi dell’uomo”. La preghiera che ne scaturisce è forte e secca: “Distruggi il potere delle ideologie, cosicché gli uomini possano riconoscere che sono intessute di menzogne. Non permettere che il muro del materialismo diventi insuperabile. Fa’ che ti percepiamo di nuovo. Rendici sobri e attenti per poter resistere alle forze del male e aiutaci a riconoscere i bisogni interiori ed esteriori degli altri, a sostenerli”. E poi quelle parole, inaudite, da allora rimaste scolpite nella coscienza di ogni cristiano e oggi di bruciante attualità. Una denuncia netta, affilata, sorprendente, incurante di bizantinismi o prose protocollari, che rivela il dolore acuto del sacerdote per chi ha tradito il comune ministero, la consapevolezza del vescovo che implora un cambio di rotta per la “barca di Pietro” che “fa acqua da tutte le parti”, la volontà di trasparenza e pulizia che solo un Pontefice può rendere universale e che di lì a tre settimane l’autore di quelle parole si troverà, eletto Papa, nelle condizioni di trasformare in realtà: “Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce?...A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra!...Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!” Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare...La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!...Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi”.

Radio Vaticana