giovedì 28 aprile 2011

Il Papa ad Aquileia e Venezia. I mastri vetrai di Murano realizzano oltre 120 oggetti liturgici per la Messa: la visita ci riempie di orgoglio

I mastri vetrai di Murano, sotto l'egida del Consorzio Promovetro Murano, hanno realizzato 60 calici, 60 patene, due piattini, una brocca, un piatto e due ampolle, tutti in vetro soffiato e in foglia d'oro che verranno utilizzati per la Messa che Benedetto XVI presiederà domenica 8 maggio nel Parco San Giuliano di Mestre. E' la prima volta che l'arte muranese entra a far parte di una celebrazione di tale pregio, alla presenza del Papa, comportando la trasformazione di oggetti liturgici che di norma sono in metallo, in opere d'arte in vetro artistico. "Questo omaggio, frutto di mesi di intenso lavoro e di rapporti del Consorzio Promovetro Murano con la curia patriarcale di Venezia, è un'occasione straordinaria che - spiega Gianfranco Albertini, Presidente del Consorzio Promovetro - ha portato al coinvolgimento di tutta l'isola, dalle istituzioni, alle associazioni e alle maestranze tutte; un'occasione per essere presenti con un nostro prestigioso contributo ad un evento di importanza magistrale per Venezia". "La visita del Santo Padre - conclude - ci riempie di orgoglio e abbiamo voluto con tutte le nostre forze, assieme a Confartigianato e Confindustria Venezia, che il marchio Vetro Artistico Murano fosse presente con gli oggetti della celebrazione eucaristica". La produzione vetraria dell'isola, caratterizzata dal Marchio regionale Vetro Artistico Murano, unica tutela legalmente riconosciuta che identifica la produzione d'eccellenza muranese, rappresenta una delle più importanti realtà produttive del Made in Italy.

Ansa, L'Unico

Benedetto XVI alla tv polacca: così Giovanni Paolo II mi donò la sua amicizia. I documenti un tesoro ricchissimo. Sento che dal Signore è vicino a me

"Personalmente ho conosciuto Karol Wojtyla soltanto nei due pre-conclave e conclave del '78", racconta Benedetto XVI. "Dall'inizio ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel tempo mi ha donato fin dall'inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia che mi ha donato, senza miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito, ho visto che era un uomo di Dio. Questa era l'impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio". È un documento straordinario, quello che Radio Vaticana e il Centro Televisivo Vaticano manderanno in onda nel fine settimana. Benedetto XVI, che domenica in San Pietro proclamerà Beato il suo predecessore, l'aveva concessa alla tv polacca sei mesi dopo l'elezione, il 16 ottobre 2005, e parla della nascita di "un'amicizia che veniva proprio dal cuore", dice: "Sento che dal Signore è vicino a me in quanto io sono vicino al Signore, lui ora mi aiuta ad essere vicino al Signore e io cerco di entrare nella sua atmosfera di preghiera, di amore del Signore, di amore della Madonna. E mi affido alle sue preghiere". Parole che sembrano già dare il senso della Beatificazione (come quando ai funerali l'allora card. Ratzinger disse: "Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice") e la Santa Sede rilancia, attraverso i suoi media, a sottolineare il legame profondo tra i due Pontefici. Benedetto XVI parla delle 14 Encicliche, dei tanti scritti di Wojtyla e spiega: "Io considero proprio una mia missione essenziale e personale di non emanare tanti nuovi documenti, ma di fare in modo che questi documenti siano assimilati, perché sono un tesoro ricchissimo, sono l'autentica interpretazione del Vaticano II". Proprio quell'evento è il filo che li lega: "Sappiamo che il Papa era l'uomo del Concilio, che aveva assimilato interiormente lo spirito e la lettera del Concilio e con questi testi ci fa capire veramente cosa voleva e cosa non voleva il Concilio. Ci aiuta ad essere veramente Chiesa del nostro tempo e del tempo futuro". L'amicizia e la stima nei conclavi del '78, Wojtyla che tre anni più tardi chiama l'allora arcivescovo di Monaco a Roma come prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ventitré anni fianco a fianco. Papa Ratzinger ricorda il "contributo essenziale" che Wojtyla diede all'89, la sua "presenza" che ha fatto crescere nel mondo "in modo inimmaginabile l'importanza del Vescovo di Roma", la capacità di creare "una nuova apertura e sensibilità alla religione" e di farsi "portavoce della cristianità" e "dei grandi valori dell'umanità", fino a instaurare "un clima di dialogo tra le grandi religioni e un senso di comune responsabilità" perché "violenze e religioni sono incompatibili". E poi, i ragazzi: "Ha saputo entusiasmare la gioventù per Cristo. Una cosa nuova, se pensiamo alla gioventù del '68 e degli Anni Settanta...". Anche dopo la morte, dice Benedetto XVI, "mi è sempre vicino attraverso i suoi testi", una vicinanza "con la persona" perché "dietro i testi sento il Papa stesso". L'ultimo incontro, racconta, fu alla vigilia della morte: "Circondato da medici e amici, era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire è stato un grande insegnamento: soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nelle mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio".

Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera.it

Intervista alla Televisione Polacca (16 ottobre 2005)

mercoledì 27 aprile 2011

Nella Settimana Santa circa mille ex anglicani sono stati accolti nella Chiesa Cattolica. Mons. Burnham: un arricchimento da queste conversioni

"Nel corso del periodo pasquale sono stati circa mille gli ex fedeli anglicani battezzati e accolti nell'ambito della Chiesa cattolica d'Inghilterra e del Galles attraverso l'Ordinariato di Nostra Signora di Walsingham. Tra questi nuovi cattolici sono presenti anche sessanta ex pastori anglicani che hanno abbandonato l'incarico presso le loro parrocchie". Lo scrive L'Osservatore Romano che conferma quanto era trapelato nei giorni scorsi. In proposito il giornale vaticano cita l'omelia alla cerimonia di accoglienza di venti ex anglicani, tenuta presso l'Oratorio di Oxford, da Andrew Burnham per il quale "il gesto profetico compiuto da Benedetto XVI con la Costituzione Apostolica 'Anglicanorum Coetibus', circa l'istituzione di Ordinariati personali, potrebbe risultare vano se le conversioni avvenute in questi giorni venissero considerate solo nell'ottica delle percentuali statistiche dove vengono considerati i grandi numeri". "Tuttavia - ha detto il prelato - c'è un altro modo di considerare questi eventi; un modo che per noi è molto più entusiasmante. In una delle sue lettere, San Paolo afferma che solo cinquecento persone poterono vedere con i propri occhi il Signore risorto. Un piccolo numero che presto si è moltiplicato per via del reciproco arricchimento. Anche queste conversioni possono produrre un grande effetto, un arricchimento più volte sottolineato nel documento di Benedetto XVI". "Un gesto generoso che verrà apprezzato" ha affermato da parte sua mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza Episcopale della Chiesa d'Inghilterra e del Galles, commentando la notizia che la 'St Barnabas Society' ha deciso di donare centomila sterline per aiutare gli ex pastori protestanti ora divenuti cattolici. Il supporto di questo ente di carità cattolico, che opera in Gran Bretagna e in Irlanda, è certo essenziale per chi deve trovare nuove risorse per la famiglia. "Questo - commenta L'Osservatore Romano - è il caso dell'ex pastore Ian Hellyer battezzato la Domenica delle Palme e cresimato il Mercoledì delle Ceneri presso l'abbazia benedettina di Devon. Ad assistere alle cerimonie gli otto figli e la moglie, in attesa del nono. Dopo il battesimo, Hellyer ha dichiarato di non aver paura del futuro della famiglia perché confida nella Divina Provvidenza".

A Voce Alta

I lampedusani donano a Benedetto XVI una croce realizzata con il legno dei barconi degli immigrati. Mons. Montenegro: abitanti da sempre solidali

Gli abitanti di Lampedusa presenti questa mattina all'Udienza generale hanno portato in dono a Benedetto XVI una croce, opera di Franco Tuccio, realizzata con il legno dei barconi di immigrati giunti sull'isola dal Nord Africa. Lo riferisce L'Osservatore Romano, che che riferisce come mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, abbia ricordato che molti abitanti hanno aperto le loro case per far dormire i migranti che non avevano riparo. L'arcivescovo, che ha trascorso la Pasqua nell'isola, ribadisce che, nonostante allarmismi e incomprensioni spesso enfatizzati oltremisura dai media, ''gli abitanti sono da sempre solidali verso chi è nel bisogno''. Il parroco e il vice parroco di Lampedusa, don Stefano Nastasi e don Vincent Mwagala sottolineano che anche la parrocchia di San Gerlando ha messo a disposizione degli immigrati alcuni dei suoi locali, offrendo in particolare la possibilità di usare le docce e di dormire sotto un tetto. I parrocchiani, in piccoli gruppi, si sono alternati nel portare coperte e generi di prima necessita' a quanti approdavano. La loro presenza all'Udienza generale, dicono, vuole essere un appello al Papa perchè non li lasci soli e preghi per loro.

Ansa, Asca

Da sabato on line il sito ufficiale del Pontificio Consiglio per i Laici con immagini, notizie e approfondimenti delle attività del dicastero

Sarà on line dal prossimo 30 aprile il sito ufficiale del Pontificio Consiglio per i Laici, www.laici.va, che offrirà in quattro lingue, italiano, inglese, spagnolo e francese, e in una veste grafica ricca di immagini, notizie e approfondimenti delle attività del dicastero della Santa Sede a servizio dei fedeli laici del mondo intero. Con il nuovo sito il Pontificio Consiglio per i Laici vuole essere accessibile nella rete in più lingue, con un disegno grafico attraente, presentando tutte quelle attività che dicono, nelle varie aree di sua competenza, che Gesù Cristo è il Salvatore, Colui che accompagna l’uomo in ogni ambito della vita. Il sito sarà, quindi, una “finestra aperta” sulle attività del dicastero che offrirà, oltre all’illustrazione dettagliata della sua struttura (superiori, capi sezione, segretariato, membri e consultori), un consistente numero di pagine relativo al lavoro delle sezioni dedicate all’associazionismo laicale, ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità; alla pastorale giovanile, con particolare riguardo alle Giornate Mondiali della Gioventù, di cui il dicastero è responsabile; alla vocazione e alla missione della donna nella Chiesa e nel mondo; al rapporto della Chiesa con il mondo dello sport, vasto campo della cultura contemporanea e mezzo opportuno di crescita integrale della persona al servizio della pace e della fratellanza tra i popoli. Nelle pagine delle sezioni, così come in quelle dedicate ai superiori del dicastero, si potranno trovare, in varie lingue, testi di approfondimento su temi che riguardano i fedeli laici e il loro impegno nel mondo, contributi provenienti anche da più voci, stretti collaboratori del dicastero. Si potranno trovare notizie sul riconoscimento e l’approvazione degli statuti delle nuove associazioni, nuovi programmi del dicastero, ultimi volumi pubblicati. Eventi quali seminari di studio, congressi continentali dei laici cattolici, forum dei giovani e assemblee plenarie di membri e consultori del dicastero, troveranno nelle pagine web un ampio spazio, con foto, video e testi delle relazioni, così da permettere ai visitatori del sito di “partecipare” a queste iniziative. Il sito è stato realizzato dal Servizio Internet Vaticano, ed è il primo ad essere creato da questo ufficio con un nuovo sistema di web content management, una moderna tecnologia di gestione dei contenuti nel web, che permette l’inserimento di testi e immagini in maniera agile e innovativa.

Radio Vaticana

Il card. Bertone: la Dichiarazione 'Dominus Iesus' non una fissazione del card. Ratzinger ma fu chiesta espressamente da Giovanni Paolo II

Pochi documenti della Chiesa Cattolica hanno provocato lacerazioni, anche nel corpo ecclesiale, come la Dichiarazione dogmatica “Dominus Iesus”. Pubblicata dalla Congregazione per Dottrina della fede nel 2000, ribadì l’assoluta unicità di Gesù Cristo in ordine alla salvezza di tutti gli uomini. Fu il card. Walter Kasper, quando ancora guidava i rapporti ecumenici, a dire che “alcune formulazioni del testo non sono facilmente accessibili ai nostri partner”. Tra questi gli ebrei. Joseph Ratzinger, all’epoca prefetto dell’ex Sant’Uffizio, dovette spiegarsi e dire che restava “evidente che il dialogo di noi cristiani con gli ebrei è su un piano diverso rispetto a quello con le altre religioni. La fede testimoniata nella Bibbia degli ebrei, l’Antico testamento dei cristiani, per noi non è un’altra religione, ma il fondamento della nostra fede”. Scrive Sandro Magister che anche a livelli gerarchici alti della Chiesa Cattolica “si diffuse la leggenda che Wojtyla, personalmente svogliato, pubblicò la ‘Dominus iesus’ solo per dare soddisfazione al card. Ratzinger”. Le cose non andarono così. O almeno così afferma ora il Segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone, all’epoca segretario della Dottrina delle fede, che scrive nel suo ultimo lavoro edito dalla Libreria Editrice Vaticana, “Un cuore grande. Omaggio a Giovanni Paolo II”, che “il Papa stesso ha voluto la ‘Dominus Iesus’ nonostante le dicerie che hanno attribuito a una fissazione di Ratzinger o della Dottrina della fede il fatto di aver voluto questa famosa dichiarazione, dicerie che si erano propagate anche in campo cattolico”. Mentre “fu Giovanni Paolo II a chiedere la Dichiarazione perché era rimasto colpito dalle reazioni critiche alla sua Enciclica sulla missionarietà, la ‘Redemptoris missio’, con la quale voleva incoraggiare i missionari ad annunciare il Cristo anche nei contesti dove sono presenti altre religioni, per non ridurre la figura di Gesù a un qualsiasi fondatore di un movimento religioso. Le reazioni erano state negative, soprattutto in Asia, e il Papa ne era rimasto molto amareggiato. Allora, nell’Anno Santo, disse: ‘Per favore, preparate una Dichiarazione dogmatica’”. Certo, purtroppo “non solo in campo laico, ma anche in campo cattolico” alcuni si allinearono alle critiche. “Il Papa rimase doppiamente amareggiato. Ci fu una sessione di riflessione. Alla fine della riunione, il Papa ci disse: ‘Voglio difenderla e voglio parlarne domenica primo ottobre, durante la preghiera dell’Angelus – eravamo presenti io, il cardinale Ratzinger e il cardinale Re – e vorrei dire questo e quest’altro’”.

Paolo Rodari, Il Foglio

Benedetto XVI ai fedeli di Lampedusa: continuare nell'impegno di solidarietà verso i fratelli migranti, perseguire la tutela dell'ordine sociale

Al termine dell’Udienza generale Benedetto XVI ha salutato un gruppo di fedeli giunti da Lampedusa, accompagnati dal vescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro. Il Papa li ha incoraggiati “a continuare nel loro apprezzato impegno di solidarietà verso i fratelli migranti, che trovano nella loro isola un primo asilo di accoglienza”. Ha poi auspicato “che gli organi competenti proseguano l’indispensabile azione di tutela dell’ordine sociale nell’interesse di ogni cittadino”. Un saluto è stato rivolto anche ai diaconi della Compagnia di Gesù “invocando sul loro itinerario formativo e apostolico l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo” e ai rappresentati dell’Associazione nazionale vittime dell’amianto e dell’Osservatorio nazionale amianto esortandoli “a proseguire nella loro importante attività a difesa dell’ambiente e della salute pubblica”. Un pensiero, infine, ai numerosi adolescenti dell’arcidiocesi di Milano presenti: “Grazie per il vostro entusiasmo, sento la gioia di Pasqua”. Il Papa ha quindi invitato i giovani a rispondere “con gioia e amore” a Cristo e a essere “testimoni della sua gioia e della sua pace”.

SIR

Il Papa: la Risurrezione di Cristo rinnova l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo esserne i testimoni luminosi

Udienza Generale questa mattina sin Piazza San Pietro dove Benedetto XVI, proveniente in elicottero dalla residenza pontificia di Castel Gandolfo, ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato della risurrezione di Cristo. Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.
Una riflessione sulla Pasqua, “cuore del mistero cristiano”. Tutto prende avvio da qui: “Cristo risorto dai morti è il fondamento della nostra fede. Dalla Pasqua si irradia, come da un centro luminoso, incandescente, tutta la Liturgia della Chiesa, traendo da essa contenuto e significato. La celebrazione liturgica della morte e risurrezione di Cristo non è una semplice commemorazione di questo evento, ma è la sua attualizzazione nel mistero, per la vita di ogni cristiano e di ogni comunità ecclesiale, per la nostra vita”. Infatti, “la fede nel Cristo risorto trasforma l’esistenza, operando in noi una continua risurrezione”. Come possiamo allora far diventare “vita” la Pasqua? Come può assumere una “forma” pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Secondo il Papa, “dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesù: tale evento non è un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso”. La risurrezione di Cristo, ha osservato il Pontefice, “è l’approdo verso una vita non più sottomessa alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio”. “Nella risurrezione di Gesù – ha avvertito Benedetto XVI - inizia una nuova condizione dell’essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l’intera umanità. Per questo, San Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesù, ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianità della nostra vita”. Leggendo la Lettera ai Colossesi, “potrebbe sembrare – ha aggiunto - che l'Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del ‘cielo’ sarebbe in tale caso una specie di alienazione”. In realtà, “l'Apostolo precisa molto bene ciò che intende per ‘le cose di lassù’, che il cristiano deve ricercare, e ‘le cose della terra’, dalle quali deve guardarsi. Le cose della terra da evitare sono l’“impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria. Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato. Dunque, quando l'Apostolo invita i cristiani a distaccarsi con decisione dalle ‘cose della terra’, vuole chiaramente far capire ciò che appartiene all’‘uomo vecchio’ di cui il cristiano deve spogliarsi, per rivestirsi di Cristo”. San Paolo ci indica anche quali sono le “cose di lassù”, che il cristiano deve invece cercare e gustare. “Esse – ha spiegato il Papa - riguardano ciò che appartiene all’‘uomo nuovo’, che si è rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi ‘ad immagine di Colui che lo ha creato’”. San Paolo è “ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. È vero che noi siamo cittadini di un'altra ‘città’, dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena”. E questa “è la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla città terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della società secondo la logica della solidarietà, della bontà, nel profondo rispetto della dignità propria di ciascuno”. L’Apostolo “ci ricorda quali sono le virtù che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c'è la carità, alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia ‘le cose del cielo’: la carità che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda”. “La Pasqua – ha ribadito Benedetto XVI - porta la novità di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitù del peccato ad una vita di libertà, animata dall’amore, forza che abbatte ogni barriera e costruisce una nuova armonia nel proprio cuore e nel rapporto con gli altri e con le cose”. Ogni cristiano “se vive l’esperienza di questo passaggio di risurrezione, non può non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause più urgenti e più giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo”. Per il Papa, “sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato”. La Pasqua è dunque “dono da accogliere sempre più profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell’amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verità e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana”. “È il nostro compito e la nostra missione: far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte”, ha concluso.

SIR

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa

Il Papa a Lamezia Terme e Serra San Bruno. Mons. Cantafora: provochi un sussulto di speranza ed alimenti l'impegno di tutti nella sfida educativa

"La visita pastorale del Santo Padre Benedetto XVI a Lamezia Terme il nove ottobre prossimo è un evento storico che va colto nel suo spessore spirituale: è il Signore che ci visita attraverso la persona del successore di Pietro". E' un passaggio della lettera inviata ai fedeli della diocesi di Lamezia Terme dal vescovo Luigi Cantafora. "La notizia della visita - aggiunge - ci ha raggiunto come un dono inaspettato e sarà una grazia per rilanciare il cammino avviato, per dare un nuovo ardore ed un respiro più ampio alla nostra vita pastorale". Nella missiva il presule parla delle "paralisi sociali del nostro Sud, piagato e rassegnato, e di un certo immobilismo del nostro territorio. Sono realtà con le quali quotidianamente dobbiamo confrontarci, perché condizionano la vita di tutti, piccoli e grandi. Sappiamo bene che questo non è il nostro vero e unico volto, tuttavia diverse piaghe sociali ci impediscono di esprimere al meglio le nostre belle potenzialità". "Le paralisi della nostra terra - prosegue - non sono riassumibili in un semplice problema economico: vi è in esse una dimensione più profonda, che è di carattere etico, culturale e antropologico. Le piaghe che si constatano a livello sociale, sia nel Mezzogiorno che a livello globale, possono essere chiamate, con un'espressione usata da Giovanni Paolo II, 'strutture di peccato': apparati di potere, sistemi economici e finanziari, correnti culturali, frange istituzionali deviate, mafie e gruppi criminali. I vari cancri che affliggono il Mezzogiorno si combattono alla radice con una terapia a base di Vangelo. Non si vogliono qui affatto negare le altre responsabilità a tutti livelli, compreso quello istituzionale. Ma ognuno è chiamato a fare la sua parte e, come Chiesa che vive in Lamezia, anche noi siamo chiamati ad accogliere la sfida educativa come la più decisiva per lo sviluppo integrale del Sud". "Nostro auspicio - conclude il presule - è che la venuta di Benedetto XVI, il cammino di preparazione e quello successivo alla sua visita, provochino un sussulto di speranza ed alimentino l'impegno di tutti nella sfida educativa".

Telereggio Calabria.it

Il documento

martedì 26 aprile 2011

Il 4 maggio il Papa avrà un collegamento satellitare con la stazione spaziale internazionale in occasione dell'ultima missione dello Shuttle Endeavour

Benedetto XVI ''avrà un collegamento satellitare con la stazione spaziale internazionale in occasione dell'ultima missione dello Shuttle Endeavour''. Accadrà mercoledi' 4 maggio, alle 17.30. E' quanto ha riferito nei giorni scorsi L'Osservatore Romano. ''Ne da' notizia la Prefettura della Casa Pontificia - si è letto sul quotidiano vaticano - informando che, per la seconda volta nella storia delle attività spaziali italiane, due astronauti italiani si incontreranno sulla stazione spaziale: il colonnello Roberto Vittori - che porterà la medaglia d'argento, dono del Papa - troverà l'ingegnere Paolo Nespoli, insieme ad altri membri dell'equipaggio di diverse nazioni''. Dopo quest’ultima missione, gli americani non effettueranno più viaggi con gli Shuttle. Una scelta presa dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel 2009 e che ha fatto eco in tutto il mondo. La storia dello Space Shuttle inizia dopo gli esaltanti risultati dei viaggi lunari del 1969: dopo l’arrivo e l’atterraggio sulla Luna, gli americani vollero incominciare a viaggiare per lo spazio. Così nacque l’idea di una navetta riutilizzabile e, con il passare degli anni, si perfezionò l’idea. Oggi, a quasi 40 anni di carriera, il mezzo spaziale più famoso al mondo terminerà la sua missione e per ultimare la sua vita nell’universo, il Papa ha deciso di visitarlo prima della pensione in qualche hangar di aeroporto.

Adnkronos, Il quotidiano italiano

Il Papa ad Aquileia e Venezia. Sarà una 'dogaressa' la gondola su cui salirà Benedetto XVI. 425 i gondolieri che si contengono la guida

A Venezia è 'guerra' tra gondolieri, che si contendono l'onore di condurre Papa Benedetto XVI, in visita nel capoluogo lagunare il 7 e l'8 maggio, quando la domenica pomeriggio transiterà dalla Basilica di San Marco alla Basilica della Madonna della Salute (foto). Tra gli amletici dubbi quello sul numero dei gondolieri: ci sarà una coppia di gondolieri o saranno addirittura due coppie sulla gondola papale? Intanto, Venezia è già pronta per l'arrivo del Papa: sul Ponte di Rialto, da entrambe le parti, c'è uno striscione in cui si legge 'Venezia saluta Benedetto XVI', con l'immagine sorridente del Pontefice. Per quanto riguarda la gondola papale e il suo nocchiero, su 425 gondolieri registrati ufficialmente a Venezia, la scelta sarà estremamente ardua e, del resto, portare il Pontefice sulla gondola bardata per le occasioni speciali è una opportunità che nessuno dei vogatori vorrebbe farsi sfuggire. Il responso si conoscerà solo tra due giorni, quando finalmente la coppia di gondolieri papali, o le due coppie, verrà annunciata. Nel frattempo, indiscrezioni dicono che la gondola sulla quale il Santo Padre viaggerà non sarà un'imbarcazione privata di proprietà del gondoliere, ma sarà una gondola pubblica: forse la 'dogaressa', una gondola di proprietà del comune adatta alle grandi occasioni e più grande rispetto a una gondola tradizionale. La gondola 'dogaressa' potrebbe quindi ospitare comodamente, date le dimensioni, anche due coppie di vogatori, una a poppa e l'altra a prua. Il tutto nel segno di una maggiore sicurezza e stabilità dell'imbarcazione che ospiterà Benedetto XVI.

TMNews

Vian: con la sua parola il Papa sta restituendo alla tradizione cristiana forza e comprensibilità in un mondo sommerso da un'infinità di messaggi

“L’omelia di Benedetto XVI per la Veglia di Pasqua di quest’anno, all’inizio del settimo anno di pontificato, è un testo impressionante”. A sostenerlo è Gian Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, nell’editoriale del numero in edicola oggi, che parla di “un Papa che con la sua parola sta restituendo alla tradizione cristiana forza e comprensibilità in un mondo sommerso da un’infinità di messaggi”. “Quest’anno – prosegue Vian - Benedetto XVI ha scelto di concentrare la sua riflessione, che ha il dono di arrivare all’essenziale, sulla parola della Scrittura ispirata da Dio e proclamata nella Liturgia. In particolare, le antiche profezie veterotestamentarie. Che non solo raccontano la storia della salvezza, ma mostrano il ‘fondamento e l’orientamento’ di tutta la storia. A partire dalla creazione”. La “specificità della Chiesa”, spiega il Papa, non è “soddisfare bisogni religiosi”, ma portare “l’uomo in contatto con Dio”, riconoscendo “la realtà di un universo non casuale ma creato da una Parola e da una Ragione buona: il lògos, che era ‘in principio’, quando Dio creò il cielo e la terra”. Per il Papa, “voluta da una Ragione buona, la creazione rimane buona nonostante ‘una spessa linea oscura’ che vi si manifesta e le si oppone, per l’uso indebito della libertà voluta dalla stessa Ragione. Contro ogni gnosticismo avverso alla creazione, questo era e rimane il convincimento della Chiesa”.

SIR

La Ragione buona

Pasqua 2011. Nelle parole di Benedetto XVI la straordinaria storia dell'amore di Dio: Egli è sceso perchè l'uomo possa salire verso di Lui

Nella Settimana Santa appena trascorsa, centro di tutto l’Anno liturgico, Benedetto XVI ha pronunciato parole intense, parole forti: una sorta di appello accorato all’umanità per ribadire che la porta del Cielo per raggiungere Dio è stata aperta. Il Papa ha illustrato la straordinaria storia dell’amore di Dio per l’uomo. A quanti negano Dio o sono dubbiosi ha ricordato che le perfezioni del cosmo non si sono prodotte da sé: l’ordine non è generato dal caso o dall’irrazionalità. Dietro una cosa ben fatta c’è un’intelligenza che la produce. Questa Intelligenza, questa Ragione creatrice, è Dio, e Dio è Amore e ha voluto comunicare in modo particolare il suo amore a una creatura, l’uomo: “Se l’uomo fosse soltanto un prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina” (23 aprile 2011, Veglia Pasquale nella Notte Santa).
Senza libertà non c’è vero amore. Per questo l’uomo è libero di rifiutare Dio, di negare addirittura la sua esistenza. E Dio non s’impone. Ma nel cuore dell’uomo resta pur sempre l’impronta divina e senza Dio è perennemente inquieto. Aspira a raggiungere l’infinito, ad essere come Dio, totalmente libero, perfetto, e ci prova con le sue forze: “Noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostro cuore fino all’altezza di Dio. Non ne siamo in grado. Proprio la superbia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio. Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sulla Croce. Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana, per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventato umile...Soltanto così la nostra superbia poteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suo amore, e questo amore umile attrae verso l’alto” (17 aprile 2011, Domenica delle Palme).
Dio è sceso perché l’uomo possa salire. Salire è difficile, non è comodo. La nostra volontà è un’altra. Seguire la volontà di un Altro è duro: è la nostra croce, la nostra morte. Ma Gesù ci ha mostrato che da questa morte viene la vita. Lui ha fatto la volontà del Padre ed è risorto: “La Risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile” (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2011).
La Risurrezione di Gesù è un fatto inaudito che cambia la storia, cambia la vita di tutti. I discepoli, già in fuga davanti al Maestro arrestato e crocifisso, si sarebbero dispersi se non avessero visto con i loro occhi qualcosa di inimmaginabile. Per questo hanno potuto dare la vita per il loro Signore: perché l’hanno visto risorto. Ora non avevano più paura della morte. Nasce la Chiesa: “La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio” (23 aprile 2011, Veglia Pasquale nella Notte Santa).
La Chiesa è fatta di uomini deboli che devono annunciare cose ben più grandi di loro, la Parola di Dio. Per questo è attaccata da Satana davanti al mondo. Noi la vorremmo diversa, perfetta come Dio è perfetto. Anche gli apostoli non accettavano l’idea di un Cristo debole, umile, crocifisso: “Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri. Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro” (21 aprile 2011, Santa Messa nella Cena del Signore).
Essere cristiani non è un vanto, ma una responsabilità: significa testimoniare al mondo il Dio vivente. Il Papa si rivolge ai cristiani: ai cristiani che si credono migliori perché hanno fatto un lungo percorso di fede. Li esorta ad essere umili come catecumeni, sempre all’inizio del cammino, sempre in cerca del Volto di Dio. Si rivolge ai cristiani sonnolenti, insensibili dinanzi al male che sconvolge il mondo perché insensibili a Dio e all’amore. E senza amore la fede è morta. Si rivolge ai popoli dell’Occidente, stanchi della propria fede, e li invita a non disprezzare la Croce: è l’unica speranza dell’umanità: “La Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui” (Via Crucis al Colosseo, 22 aprile 2011).

Radio Vaticana

Il Papa: la Risurrezione il rinnovamento della condizione umana. Se sappiamo rivolgerci a Dio possiamo scoprire il significato più profondo della vita

"Surrexit Dominus vere! Alleluja!". Con queste parole ieri amattina, Lunedì dell’Angelo, Benedetto XVI ha introdotto la preghiera mariana del Regina Cæli, che per tutto il tempo pasquale sostituisce l’Angelus, dal Cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, dove si è recato da domenica pomeriggio per un breve periodo di riposo. "La Risurrezione del Signore – ha detto - segna il rinnovamento della nostra condizione umana. Cristo ha sconfitto la morte, causata dal nostro peccato, e ci riporta alla vita immortale. Da tale evento promana l’intera vita della Chiesa e l’esistenza stessa dei cristiani". Lo leggiamo proprio oggi, Lunedì dell’Angelo, ha ricordato il Papa, nel primo discorso missionario della Chiesa nascente: "Questo Gesù – proclama l’apostolo Pietro – Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire". Uno dei segni caratteristici della fede nella Risurrezione, ha osservato, "è il saluto tra i cristiani nel tempo pasquale, ispirato dall’antico inno liturgico: ‘Cristo è risorto! È veramente risorto!’". È "una professione di fede e un impegno di vita", proprio come è accaduto alle donne descritte nel Vangelo di San Matteo: "Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: ‘Salute a voi!’. Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: ‘Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno’". Tutta la Chiesa, ha affermato il Pontefice riprendendo le parole di Paolo VI, "riceve la missione di evangelizzare, e l’opera di ciascuno è importante per il tutto. Essa resta come un segno insieme opaco e luminoso di una nuova presenza di Gesù, della sua dipartita e della sua permanenza. Essa la prolunga e lo continua". Illuminati dalla luce del Risorto. "In che modo possiamo incontrare il Signore e diventare sempre più suoi autentici testimoni?", ha chiesto il Santo Padre. Riprendendo le parole di San Massimo di Torino, ha sostenuto: "Chiunque vuole raggiungere il Salvatore, per prima cosa lo deve porre con la propria fede alla destra della divinità e collocarlo con la persuasione del cuore nei cieli". "Deve cioè imparare – ha chiarito Benedetto XVI - a rivolgere costantemente lo sguardo della mente e del cuore verso l’altezza di Dio, dove è il Cristo risorto. Nella preghiera, nell’adorazione, dunque, Dio incontra l’uomo". Il Papa ha ricordato anche il teologo Romano Guardini: "L’adorazione non è qualcosa di accessorio, secondario...si tratta dell’interesse ultimo, del senso e dell’essere. Nell’adorazione l’uomo riconosce ciò che vale in senso puro e semplice e santo". "Solo se sappiamo rivolgerci a Dio, pregarLo – ha aggiunto il Pontefice -, noi possiamo scoprire il significato più profondo della nostra vita, e il cammino quotidiano viene illuminato dalla luce del Risorto". Il Santo Padre ha, quindi, rammentato che "la Chiesa, in Oriente e in Occidente, oggi festeggia San Marco evangelista, sapiente annunciatore del Verbo e scrittore delle dottrine di Cristo – come in antico veniva definito. Egli è anche il patrono della città di Venezia, dove, a Dio piacendo, mi recherò in visita pastorale il 7 e 8 maggio prossimo". Infine, l’invocazione alla Vergine Maria, "affinché ci aiuti a compiere fedelmente e nella gioia la missione che il Signore Risorto affida a ciascuno".
Dopo la recita della preghiera mariana, nei saluti in italiano il Papa ha espresso un "ricordo particolare per le autorità e gli abitanti di Castel Gandolfo sempre così ospitali". Infine ha rivolto "uno speciale saluto ai rappresentanti dell'Associazione 'Meter', promotrice della Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell'indifferenza, e li incoraggio a proseguire la loro opera di prevenzione e di sensibilizzazione delle coscienze al fianco delle varie agenzie educative: penso in particolare alle parrocchie, agli oratori e alle altre realtà ecclesiali che si dedicano con generosità alla formazione delle nuove generazioni".

SIR, TMNews

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI

domenica 24 aprile 2011

La vicinanza del Papa al gruppo di rom che ha occupato la Basilica di San Paolo. La Santa Sede: si trovi una sistemazione stabile adeguata

Papa Benedetto XVI esprime la sua vicinanza al gruppo di rom che hanno trovato appoggio nella Basilica di San Paolo dopo lo sgombero del loro campo. La Sala stampa vaticana ha reso noto che il sostituto della segretaria di Stato, mons. Fernando Filoni, si è recato presso la Basilica per esprimere la vicinanza del Pontefice. Il Vaticano auspica che la soluzione trovata per i rom che si erano sistemati nella Basilica di San Paolo ''preluda ad una sistemazione stabile adeguata'', si legge ancora nel comunicato della Santa Sede, in cui si sottolinea inoltre come le soluzioni approntate insieme alla Caritas abbiano evitato di separare i nuclei familiari, garantendo alle famiglie di ''restare unite''. "Il gruppo dei rom, alcune decine - spiega un comunicato - è rimasto anche in mattinata nello spazio messo a disposizione presso la basilica, dove ha potuto pranzare e trattenersi senza particolari problemi né tensioni". "Nel pomeriggio - prosegue la nota - con l'interessamento della Caritas, è stata trovata una soluzione con il trasferimento del gruppo presso una struttura di accoglienza gestita dalla cooperativa sociale Domus, dove le famiglie potranno restare unite. A tal fine i nuclei sono stati opportunamente censiti per evitare le separazioni''. ''E' da osservare - sottolinea il Vaticano - che in tutto il corso della vicenda il comportamento della gendarmeria vaticana è stato caratterizzato da correttezza e umanità, in stretta collaborazione con gli operatori della Caritas e con le competenti autorità di pubblica sicurezza, in modo da favorire il dialogo e la serenità fra la ricerca delle soluzioni più opportune''.

Tgcom

DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE SULLA VICENDA DEI ROM PRESSO LA BASILICA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA

24 aprile 2005, l'inizio del Ministero Petrino di Benedetto XVI: non sono solo. Lasciarmi guidare dal Signore cosicché sia Egli a guidare la Chiesa



Santa Messa per l'inizio del Ministero del Sommo Pontefice Benedetto XVI(24 aprile 2005)

Omelia del Santo Padre

Delegazioni Ufficiali presenti

Delegazioni religiose presenti

Gli auguri di Benedetto XVI in 65 lingue. All'Italia: il Risorto risvegli nei singoli, nelle famiglie e nelle comunità desiderio di unità e concordia

Dopo la lettura del Messaggio Urbi et Orbi, il Papa ha rivolto il suo augurio di Buona Pasqua in 65 lingue. "Buona Pasqua a voi, uomini e donne di Roma e d'Italia! Il Signore Risorto risvegli nei singoli, nelle famiglie e nelle comunità un desiderio ancor più grande di unità e di concordia", è stato la sua prima espressione augurale, in italiano. "Ponete la vostra fiducia nella forza della croce e della risurrezione di Cristo", ha detto Benedetto XVI iniziando dall'italiano i saluti nelle diverse lingue, che ha rivolto il suo messaggio di augurio anche in cinese, in arabo, in ebraico, in etiopico-eritreo, in hindi, in giapponese. "Una forza che sostiene quanti si impegnano generosamente per il bene comune". In olandese ha espresso “viva gratitudine per i bei fiori, provenienti dai Paesi Bassi, che adornano la Piazza San Pietro in occasione della Santa Messa di Pasqua".

SIR, TMNews

AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA

Il Papa: l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto

Conclusa la Santa Messa di Pasqua, dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltavano attraverso la radio e la televisione il Messaggio Pasquale, prima di esprimere gli auguri nelle diverse lingue e impartire la Benedizione Urbi et Orbi.
“Il mattino di Pasqua ci ha riportato l’annuncio antico e sempre nuovo: Cristo è risorto! L’eco di questo avvenimento, partita da Gerusalemme venti secoli fa, continua a risuonare nella Chiesa”. “Fino ad oggi – anche nella nostra era di comunicazioni ultratecnologiche – la fede dei cristiani si basa su quell’annuncio, sulla testimonianza di quelle sorelle e di quei fratelli che hanno visto prima il masso rovesciato e la tomba vuota, poi i misteriosi messaggeri i quali attestavano che Gesù, il Crocifisso, era risorto; quindi Lui stesso, il Maestro e Signore, vivo e tangibile, apparso a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Cenacolo”, ha ricordato il Papa. La Risurrezione di Cristo “è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile. La luce che abbagliò le guardie poste a vigilare il sepolcro di Gesù ha attraversato il tempo e lo spazio. È una luce diversa, divina, che ha squarciato le tenebre della morte e ha portato nel mondo lo splendore di Dio, lo splendore della Verità e del Bene”. Per il Pontefice, "come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto. Per questo il cosmo intero oggi gioisce, coinvolto nella primavera dell’umanità, che si fa interprete del muto inno di lode del creato".
"L’alleluia pasquale, che risuona nella Chiesa pellegrina nel mondo, esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità”. All’invito alla lode per la Risurrezione rivolto a cieli e terra dal cuore della Chiesa, i “cieli”, ha sottolineato il Santo Padre, “rispondono pienamente: le schiere degli angeli, dei Santi e dei Beati si uniscono unanimi alla nostra esultanza. In Cielo tutto è pace e letizia. Ma non è così, purtroppo, sulla terra! Qui, in questo nostro mondo, l’alleluia pasquale contrasta ancora con i lamenti e le grida che provengo”no da tante situazioni dolorose: miseria, fame, malattie, guerre, violenze”. "Eppure - ha continuato -, proprio per questo Cristo è morto ed è risorto! È morto anche a causa dei nostri peccati di oggi, ed è risorto anche per la redenzione della nostra storia di oggi. Perciò, questo mio messaggio vuole raggiungere tutti e, come annuncio profetico, soprattutto i popoli e le comunità che stanno soffrendo un’ora di passione, perché Cristo Risorto apra loro la via della libertà, della giustizia e della pace”. “Possa gioire la Terra che, per prima, è stata inondata dalla luce del Risorto – ha affermato Benedetto XVI -. Il fulgore di Cristo raggiunga anche i popoli del Medio Oriente, affinché la luce della pace e della dignità umana vinca le tenebre della divisione, dell’odio e delle violenze”. In Libia “la diplomazia ed il dialogo prendano il posto delle armi e si favorisca, nell’attuale situazione conflittuale, l’accesso dei soccorsi umanitari a quanti soffrono le conseguenze dello scontro”. Nei Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, “tutti i cittadini - ed in particolare i giovani - si adoperino per promuovere il bene comune e per costruire società, dove la povertà sia sconfitta ed ogni scelta politica risulti ispirata dal rispetto per la persona umana".
"Ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari Paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari arrivi la solidarietà di tutti; gli uomini di buona volontà siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli; a quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro conforto e apprezzamento”. "Possa ricomporsi la civile convivenza tra le popolazioni della Costa d’Avorio – è stato l’auspicio -, dove è urgente intraprendere un cammino di riconciliazione e di perdono per curare le profonde ferite provocate dalle recenti violenze. Possano trovare consolazione e speranza la terra del Giappone, mentre affronta le drammatiche conseguenze del recente terremoto, e i Paesi che nei mesi scorsi sono stati provati da calamità naturali che hanno seminato dolore e angoscia”. “Gioiscano i cieli e la terra – ha aggiunto - per la testimonianza di quanti soffrono contraddizioni, o addirittura persecuzioni per la propria fede nel Signore Gesù. L’annuncio della sua vittoriosa risurrezione infonda in loro coraggio e fiducia”. Benedetto XVI ha infine invitato a seguire Gesù “in questo mondo ferito, cantando l’alleluia”: “Nel nostro cuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisi e lacrime. Così è la nostra realtà terrena. Ma Cristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Per questo cantiamo e camminiamo, fedeli al nostro impegno in questo mondo, con lo sguardo rivolto al Cielo”.

SIR, Radio Vaticana

MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI"

Benedetto XVI celebra la Messa del giorno di Pasqua. 150mila i fedeli in Piazza San Pietro, decorata con i fiori degli artisti olandesi

Questa mattina, il Papa ha celebrato sul sagrato della Basilica Vaticana la solenne celebrazione della Messa del giorno di Pasqua. Benedetto XVI ha fatto il suo ingresso sulla Papamobile. Erano circa 150mila i fedeli, giunti già dalle prime ore del mattino. La Messa si è aperta con il rito del Resurrexit, che prevede l’apertura dell’immagine del Risorto. Si tratta della neo “Acheropita”, una icona realizzata a partire dal prototipo medioevale, costituita dall’immagine dipinta del Salvatore, seduto in trono, con due sportelli laterali. Quest’anno, per una felice coincidenza, cattolici e ortodossi celebrano la Pasqua nello stesso giorno: per questo, dopo la proclamazione del Vangelo, un coro ortodosso ha intonato il canto degli Stichi e degli Stichirà della liturgia bizantina. Anche quest’anno, com’è ormai consuetudine dal 1985, la decorazione floreale di Piazza San Pietro per la Pasqua è offerta e curata da un gruppo di artisti olandesi, sotto la guida del maestro compositore Charles van der Voort. I colori dominanti sono come sempre il giallo e il bianco, che simboleggiano la luce e la gioia del messaggio pasquale, oltre ad essere i colori della bandiera vaticana. Tantissimi i fiori: dalle rose ai gigli e ai tulipani, e ancora narcisi, giacinti e un’ampia varietà di alberi e piante da giardino. Per Benedetto XVI questo è la sesta celebrazione della Pasqua, che vede altre due felici coincidenze: proprio oggi, infatti, ricorrono il sesto anniversario dell’inizio del Ministero Petrino di Benedetto XVI e l’anniversario del Battesimo di Sant’Agostino, Santo particolarmente caro al Papa, avvenuto per le mani di Sant’Ambrogio nella notte di Pasqua del 24 aprile 387.

Corriere della Sera.it, Radio Vaticana

sabato 23 aprile 2011

Il Papa: celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione, origine e meta della nostra vita. Ragione più forte dell’irrazionalità

Benedetto XVI ha presieduto nella Basilica Vaticana la Veglia Pasquale nell Notte Santa. E’ la Notte centrale di tutto l’Anno liturgico, la Notte in cui Cristo ha vinto la morte. La celebrazione ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, donato dalla Comunità Neocatecumenale di Roma. Il Santo Padre ha poi fatto ingresso nella Basilica per ascoltare il solenne annuncio della Risurrezione fatto da un diacono che ha intonato l'Exultet: "Gioisca il coro degli angeli, gioisca la Chiesa e tutta la terra". Dopo la Liturgia della Parola, il Papa ha amministrato il Battesimo, la Cresima e la Prima Comunione a sei catecumeni, provenienti da Svizzera, Albania, Russia, Perù, Singapore e Cina.
Dopo la proclamazione del Santo Vangelo l'omelia di Benedetto XVI. "Due grandi segni caratterizzano la celebrazione liturgica della Veglia pasquale": il fuoco e l’acqua, ma "caratteristica del tutto essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro con la parola della Sacra Scrittura". "La Chiesa vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele fino alle testimonianze profetiche – ha aggiunto il Papa -, con le quali tutta questa storia si dirige sempre più chiaramente verso Gesù Cristo".
Nella tradizione liturgica, ha spiegato, le letture sacre venivano chiamate "profezie" nel senso che "ci mostrano l'intimo fondamento e l'orientamento della storia". Così anche il racconto della creazione nella Genesi è una "profezia": "Non è un'informazione sullo svolgimento esteriore del divenire del cosmo e dell'uomo. I Padri della Chiesa ne erano ben consapevoli. Non intesero tale racconto come narrazione sullo svolgimento delle origini delle cose, bensì quale rimando all'essenziale, al vero principio e al fine del nostro essere". Il raggio della storia che Dio ha fondato "giunge fino alle origini, fino alla creazione". Non si può trascurare che Dio è "Creatore del cielo e della terra" perché "la Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio e quindi con il principio di ogni cosa". Per questo "Dio ci riguarda come Creatore, e per questo abbiamo una responsabilità per la creazione. La nostra responsabilità si estende fino alla creazione – ha precisato il Pontefice -, perché essa proviene dal Creatore. Solo perché Dio ha creato il tutto, può darci vita e guidare la nostra vita. La vita nella fede della Chiesa non abbraccia soltanto un ambito di sensazioni e di sentimenti e forse di obblighi morali. Essa abbraccia l’uomo nella sua interezza, dalle sue origini e in prospettiva dell’eternità". "Il mondo è un prodotto della Parola, del Logos", come si esprime l’evangelista Giovanni. "Logos" significa "ragione", "senso", "parola". Non è soltanto ragione, "ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà".
Qui, ha osservato il Santo Padre, "ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, la mancanza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione?". "Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. Per questo è cosa buona essere una persona umana", ha affermato Benedetto XVI. Se l’uomo fosse soltanto un "prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura". Invece no: "La Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome è Ragione, essa ha creato anche la libertà; e siccome della libertà si può fare uso indebito, esiste anche ciò che è avverso alla creazione". Per questo si estende "una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato". Nella tradizione ebraica "il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione". "Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio. A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora fare ancora un ulteriore passo". Nella Chiesa nascente "è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, subentra il primo giorno. Come giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta".
Questo "processo rivoluzionario", ha sottolineato Benedetto XVI, è spiegabile solo "col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione". Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, è il giorno in cui prende inizio la creazione. "Ora – ha evidenziato il Papa - esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo, ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto". "Celebriamo – ha detto - la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita". "Ora, grazie al Risorto - ha concluso il Papa -, vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine del racconto della creazione: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona".

Radio Vaticana, SIR

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA - il testo integrale dell'omelia del Papa

venerdì 22 aprile 2011

Il Papa: Dio si è abbassato fino all’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé. La Croce parla dell’amore supremo di Dio

Benedetto XVI ha presieduto questa sera al Colosseo il pio esercizio della Via Crucis. I testi delle meditazione per le 14 Stazioni sono stati composti, per incarico del Papa, dalla Madre agostiniana Maria Rita Piccione, e letti dalla grande attrice Piera Degli Esposti con l'aiuto del primo speaker della Radio Vaticana Orazio Coclite. Benedetto XVI è stato accolto dalle autorità civili e religiose, a partire dal sindaco di Roma Gianni Alemanno; il Papa ha assistito alla cerimonia in parte inginocchiato, in parte seduto e alla fine in piedi. La Via Crucis di quest'anno ha avuto una novità: due bambini, due fratelli, Diletta di 10 anni e Michele di 12, hanno letto i sottotitoli delle 14 Stazioni. A portare la Croce, sono stati il cardinale vicario Agostino Vallini, una famiglia romana, una dell’Etiopia, due monache agostiniane, un francescano e una ragazza egiziani, un malato in carrozzella accompagnato da un barelliere e una sorella assistente dell'Unitalsi, due frati francescani della Custodia di Terra Santa. Nella preghiera iniziale il Papa, rivolgendosi al Signore, riconosce che nell’ora delle tenebre, "quando le varie maschere della menzogna deridono la verità e le lusinghe del successo soffocano l'intimo richiamo dell'onestà; quando il vuoto di senso e di valori annulla l'opera educativa e il disordine del cuore sfregia l'ingenutà dei piccoli e dei deboli", in quest'ora delle tenebre, dice, “s’insinua la tentazione della fuga, il sentimento dello sgomento e dell’angoscia, mentre il tarlo del dubbio rode la mente e il sipario del buio cala sull'anima”. Allora risuonano le parole di Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?". Ma noi, afferma il Papa, “non possiamo e non vogliamo andare via, perché ‘tu solo hai parole di vita eterna’” e "la tua Croce è la sola 'chiave che ci apre ai segreti della verità e della vita'. 'Noi ti seguiremo ovunque tu andrai!'".
"Questa notte - ha detto il Papa, prendendo la parola al termine del rito - abbiamo accompagnato nella fede Gesù che percorre l’ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario. Abbiamo ascoltato il clamore della folla, le parole della condanna, la derisione dei soldati, il pianto della Vergine Maria e delle donne. Ora siamo immersi nel silenzio di questa notte, nel silenzio della croce, nel silenzio della morte", "che porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male. Questa notte - ha continuato Benedetto XVI - abbiamo rivissuto, nel profondo del nostro cuore, il dramma di Gesù, carico del dolore, del male, del peccato dell’uomo". “Che cosa rimane ora davanti ai nostri occhi? Rimane un Crocifisso; una Croce innalzata sul Golgota, una Croce che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio”.
“Ma guardiamo bene quell’uomo crocifisso tra la terra e il Cielo – ha aggiunto –, contempliamolo con uno sguardo più profondo, e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare”. “Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui”, ha continuato il Pontefice. “La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio – ha continuato il Santo Padre – e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta”. “In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di sant’Agostino: 'Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com'è vero che io non ho ricusato d'assaporare i mali della mensa vostra'”. “Fissiamo il nostro sguardo su Gesù Crocifisso – ha concluso il Papa – e chiediamo nella preghiera: Illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della Croce, fa’ morire in noi l’'uomo vecchio', legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici 'uomini nuovi', uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore”.
Tra i temi toccati nelle meditazioni, la persecuzione dei cristiani: "Gesù ha portato il peso della persecuzione contro la Chiesa di ieri e di oggi, quella che uccide i cristiani in nome di un dio estraneo all'amore e quella che ne intacca la dignità con 'labbra bugiarde e parole arroganti'". E il crocifisso, "'immagine che nessuna sentenza umana potrà mai rimuovere dalle pareti del nostro cuore". Molte le considerazioni di carattere più generale. Parlando dei peccati umani, la religiosa agostiniana scrive: "Nello scorrere quotidiano della vita il nostro cuore guarda in basso, al suo piccolo mondo, e, tutto preso dalla contabilità del proprio benessere, resta cieco alla mano del povero e dell'indifeso che mendica ascolto e chiede aiuto. Tutt'al più si commuove, ma non si muove". Quanto alla sofferenza, "quando le nostre aspettative e le nostre iniziative, spogliate di futuro o segnate dal fallimento, ci portano a fuggire nella disperazione, tu ci richiami alla forza dell'attesa. Abbiamo davvero dimenticato la potenza dello stare come espressione del pregare!".

Radio Vaticana, Zenit, TMNews

VIA CRUCIS AL COLOSSEO - il testo integrale delle parole del Papa

Celebrazione della Passione del Signore. Il Papa in adorazione della Croce. Cantalamessa: se non si riconosce che è Dio il dolore umano senza risposta

Questo pomeriggio, Venerdì Santo, Benedetto XVI ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la Celebrazione della Passione del Signore. All’inizio del rito il Santo Padre si è inginocchiato alcuni minuti davanti all'atare della Confessione. Durante la Liturgia della Parola, è stato riascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni; quindi il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha tenuto l’omelia. Dopo la Preghiera universale il Papa in ginocchio, in silenzio, ai piedi della Croce; poi senza scarpe, in segno di penitenza, ha baciato il crocifisso offrendolo alla contemplazione dei fedeli. La Liturgia della Passione si è conclusa con la Santa Comunione.
“Qui, inchiodato al legno c’è Dio in persona”, senza questa verità di fede da proclamare forte il Venerdì Santo, ha detto nell'omelia padre Cantalamessa, "il dolore umano resta senza risposta”. Dio invece scegliendo di bere dal calice amaro del dolore ha dimostrato che in fondo a questo calice ci deve essere una perla: la risurrezione. La meditazione del predicatore della Casa Pontificia si è mossa da una serie di interrogativi suscitati dai terribili fatti dell’attualità. “Come avere il coraggio di parlare dell’amore di Dio – ha detto Cantalamessa -, mentre abbiamo davanti agli occhi tante sventure umane, come la catastrofe abbattutasi sul Giappone, o le tragedie consumatesi in mare nelle ultime settimane. Non parlarne affatto? Ma rimanere del tutto in silenzio sarebbe tradire la fede e ignorare il senso del mistero che stiamo celebrando”.
“Se la corsa per la vita finisse quaggiù, ci sarebbe davvero da disperarsi”. Il pensiero di padre Cantalemssa si è rivolto anche ai “milioni e forse miliardi di esseri umani che partono svantaggiati, inchiodati dalla povertà e dal sottosviluppo al punto di partenza, e questo mentre alcuni pochi si concedono ogni lusso e non sanno come spendere le somme spropositate che guadagnano”. Di fronte a questa umanità sofferente, la risposta della Croce non può essere “solo per noi cristiani” ma “per tutti”. "Lo Spirito Santo offre a ogni uomo la possibilità di essere associato al mistero pasquale” proprio attraverso la sofferenza. Oggi, ha riscontrato, “il mondo cristiano è tornato ad essere visitato dalla prova del martirio che si credeva finita con la caduta dei regimi totalitari”: “Proprio oggi, Venerdì Santo del 2011, in un grande paese dell’Asia, i cristiani hanno pregato e marciato in silenzio per le vie di alcune città per scongiurare la minaccia che incombe su di loro...E come non rimanere ammirati dalle parole scritte nel suo testamento dall’uomo politico cattolico, Shahbaz Bhatti, ucciso per la sua fede, il mese scorso? Il suo testamento è lasciato anche a noi, suoi fratelli di fede, e sarebbe ingratitudine lasciarlo cadere presto nell’oblio”. “Anche il mondo – ha aggiunto padre Cantalamessa – si inchina davanti ai testimoni moderni della fede”. Si spiega così l’inatteso successo in Francia del film “Uomini di Dio” sull’uccisione dei sette monaci cistercensi a Tibhirine nel Marzo 1996. “Ma i martiri cristiani non sono i soli a soffrire e a morire intorno a noi”, ha constatato il padre francescano ricordando e tragedie consumatesi in mare nelle ultime settimane e la catastrofe abbattutasi sul Giappone. “Cosa possiamo offrire a chi non crede, oltre la nostra certezza di fede che c’è un riscatto per il dolore?”, si è chiesto il predicatore.
“Possiamo soffrire con chi soffre, piangere con chi piange. Prima di annunciare la risurrezione e la vita, davanti al lutto delle sorelle di Lazzaro, Gesù ‘scoppio in pianto’. In questo momento, soffrire e piangere, in particolare, con il popolo giapponese, reduce da una delle più immani catastrofi naturali della storia. Possiamo anche dire a questi fratelli in umanità che siamo ammirati della loro dignità e dell’esempio di compostezza e mutuo soccorso che hanno dato al mondo”. “La globalizzazione ha almeno questo effetto positivo: il dolore di un popolo diventa il dolore di tutti, suscita la solidarietà di tutti. Ci dà occasione di scoprire che siamo una sola famiglia umana, legata nel bene e nel male. Ci aiuta a superare le barriere di razza, colore e religione”. "Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini". Le sciagure naturali, chiarisce inoltre padre Cantalamessa, "sono però un ammonimento: in questo caso, l'ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte". “Ci fu un terremoto anche al momento della morte di Cristo – ha ricordato il sacerdote cappuccino – ma ce ne fu un altro ancora più grande al momento della sua risurrezione. Così sarà sempre. A ogni terremoto di morte succederà un terremoto di risurrezione e di vita”.

SIR, Corriere della Sera.it, Radio Vaticana

Omelia di padre Raniero Cantalamessa

'Domande su Gesù' (2). Il Papa: la Redenzione vale anche per il passato. Pure la materia è destinata all'eternità. In Maria a tutti è data una madre

La quinta domanda. La "discesa dell'anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all'altro. E' un viaggio dell’anima”, infatti la sua anima “è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato”. Il Papa lo ha detto rispondendo alla domanda se come Gesù, dopo la morte, anche a noi discenderemo agli Inferi, prima di salire al Cielo. Questa parola della discesa del Signore agli Inferi “vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi. I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto”, e "crea così l’accesso a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio". La “discesa agli Inferi, cioè nelle profondità dell’essere umano, nelle profondità del passato dell’umanità, è una parte essenziale della missione di Gesù, della sua missione di Redentore e non si applica a noi. La nostra vita è diversa, noi siamo già redenti dal Signore e noi arriviamo davanti al volto del Giudice, dopo la nostra morte, sotto lo sguardo di Gesù, e questo sguardo da una parte sarà purificante: penso che tutti noi, in maggiore o minore misura, avremo bisogno di purificazione”. "Lo sguardo di Gesù - ha concluso - ci purifica e poi ci rende capaci di vivere con Dio, di vivere con i Santi, di vivere soprattutto in comunione con i nostri cari che ci hanno preceduto".
La sesta domanda. “Non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze”, ma Gesù ci ha dato dei segni per capire “in quale direzione dobbiamo cercare questa realtà”. Benedetto XVI lo ha detto rispondendo ad una domanda su cosa significa che dopo la Risurrezione il corpo di Cristo è glorioso. Il primo segno è che “la tomba è vuota. Cioè, Gesù non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta”. Il secondo punto è che “Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica”. Quindi “c’è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo, ma che si mostra” in Gesù ed “è la grande promessa per noi tutti che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino”. "Essendo in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica, come noi la viviamo". Gesù “è un vero uomo, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa”. “Nell’Eucaristia – ha aggiunto -, il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso, questa novità che Lui è, entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona, e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza. È un punto importante, perché così siamo già in contatto” con “questo nuovo tipo di vita, essendo Lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione di vita. Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che Lui si dà a me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia, sempre, di nuovo, nell’Eucaristia".
La settima domanda. L’ultima risposta del Papa nella trasmissione “A Sua immagine” è stata su Maria, sotto la croce, affidata da Gesù a Giovanni. “Queste parole di Gesù – ha affermato Benedetto XVI - sono soprattutto un atto molto umano” di “amore per la madre” che affida “al giovane Giovanni perché sia sicura. Una donna sola, in Oriente, in quel tempo, era in una situazione impossibile”. In Giovanni, comunque, “Gesù affida tutti noi, tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. E questo si è realizzato nel corso della storia: sempre più l’umanità e i cristiani hanno capito che la madre di Gesù è la loro madre. E sempre più si sono affidati alla Madre: pensiamo ai grandi santuari, pensiamo a questa devozione per Maria dove sempre più la gente sente 'Questa è la Madre'". "Alcuni che quasi hanno difficoltà di accesso a Gesù nella sua grandezza di Figlio di Dio, si affidano senza difficoltà alla Madre". “A noi tutti è data una madre – ha aggiunto -. E possiamo con grande fiducia andare da questa Madre, che anche per ognuno dei cristiani è sua Madre”. E d’altra parte vale anche che “la Madre esprime pure la Chiesa. Non possiamo essere cristiani da soli, con un cristianesimo costruito secondo la mia idea. La Madre è immagine della Chiesa, della Madre Chiesa, e affidandoci a Maria dobbiamo anche affidarci alla Chiesa, vivere la Chiesa, essere la Chiesa con Maria”. Al Pontefice è stato chiesto anche se ha intenzione di rinnovare una consacrazione alla Vergine all’inizio di questo nuovo millennio. “I Papi – sia Pio XII, sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II – hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi sembra, come gesto davanti all’umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto importante – ha dichiarato Benedetto XVI -. Io penso che adesso sia importante di interiorizzare questo atto, di lasciarci penetrare, di realizzarlo in noi stessi”. In questo senso, ha confessato, “sono andato in alcuni grandi santuari mariani nel mondo: Lourdes, Fatima, Czestochowa, Altötting..., sempre con questo senso di concretizzare, di interiorizzare questo atto di affidamento, perché diventi realmente il nostro atto. Penso che l’atto grande, pubblico, sia stato fatto. Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro”. “L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria – ha spiegato il Papa -, ci rende Chiesa, ci rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Quindi, al momento non avrei l’intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di Gesù”.

SIR