mercoledì 6 aprile 2011

La Beatificazione di Giovanni Paolo II. Amato: riconosciute le virtù, non l’impatto del pontificato. Al cui disordine sta rimediando Benedetto XVI

Mentre si avvicina la data della Beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1° maggio, un concetto le stanze vaticane vogliono trasmettere al mondo esterno: chi viene beatificato è Karol Wojtyla, non il suo pontificato. E’ una distinzione che poche ore fa ha voluto fare anche il cardinale salesiano Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, durante un incontro all’ateneo Santa Croce: “La causa di Beatificazione non è giunta al suo termine per l’impatto che il pontificato ha avuto sulla storia della Chiesa quanto per le virtù di fede, speranza e carità che sono state proprie della vita di Wojtyla”. Del resto, anche l’intento di Benedetto XVI che il 3 maggio del 2005 spingeva l’allora vescovo vicario di Roma, il card. Camillo Ruini, ad aprire la fase diocesana del processo saltando i cinque anni che solitamente devono passare dalla morte del candidato altro non era se non quello di dare voce alla potente richiesta dei fedeli che volevano Wojtyla Santo subito. Quanto al pontificato e ai suoi problemi, ci sarebbe stato tempo. Tanto che, in fondo, il pontificato di Papa Ratzinger si può leggere anche in questo modo, e cioè come il tentativo di mettere ordine dentro un certo disordine lasciato dal suo predecessore. Le polemiche intorno al pontificato non sono poche. Alcune vengono da dentro la Curia romana. Si sa che qualche cardinale non ha deposto al processo. Carlo Maria Martini, ad esempio, ha criticato i viaggi internazionali del Papa che, a suo dire, avrebbero mortificato le Chiese locali. Mentre i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri inizialmente non hanno voluto deporre, critici soprattutto per i tempi troppo veloci del processo, salvo poi, lo ha confermato Amato, lasciare una propria deposizione. In Curia è forte il partito dei pacelliani, ovvero di coloro che ritengono che prima di Wojtyla sarebbe stato più giusto beatificare Pio XII, il Papa che non arrivò a convocare il Concilio Vaticano II. Tra i cardinali lontani da Roma una voce critica è stata quella del cardinale belga Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles. In un’intervista a 30Giorni disse: “Io penso che si doveva rispettare la procedura normale. Se il processo di per sé avanza velocemente, va bene. Ma la santità non ha bisogno di passare per corsie preferenziali. Il processo si deve prendere tutto il tempo che serve, senza fare eccezioni. Il Papa è un battezzato come tutti gli altri. Dunque la procedura dovrebbe essere la stessa prevista per tutti i battezzati. Non mi è piaciuto il grido ‘Santo subito’ che si è sentito ai funerali, in piazza San Pietro. Non si fa così. Qualche tempo fa hanno anche detto che si trattava di una iniziativa organizzata, e questo è inaccettabile. Creare una Beatificazione per acclamazione, ma non spontanea, è una cosa inaccettabile”. Danneels non fece mistero di aver avuto delle riserve su Giovanni Paolo II: “Il Papa con cui ho sentito personalmente più affinità è Paolo VI. Lui mi ha nominato vescovo. Con Paolo VI mi sento a casa. Anche Benedetto XVI ha la stessa attitudine a non gridare, a dire le cose proponendole con un po’ di fiducia. Non è il modello atletico di Wojtyla, che è stato un altro tipo di Papa. Importante, anche lui. Ma diverso da Paolo VI”. Nessuno nella Chiesa Cattolica mette in dubbio la santità di Wojtyla. Ieri il card. Agostino Vallini, vescovo vicario di Roma, ha lodato Giovanni Paolo II perché ha insegnato a tutti “a morire e quindi a vivere”. Le critiche vertono esclusivamente su aspetti circoscritti del suo pontificato. Due i nodi emergono più di altri. Una certa diga difensiva eretta di fronte all’emergere dei casi di pedofilia nel clero e un uso non sempre limpido delle finanze che transitavano per l’Istituto delle opere di religione. Due nodi che oggi Benedetto XVI sta cercando con grande impegno di sciogliere, seppure non sia facile. Nodi e problemi che, con forza, il Vaticano vuole lasciare fuori dalla causa di Beatificazione.

Paolo Rodari, Il Foglio

Paul Bhatti, fratello del ministro ucciso, incontra il Papa: continui ad appoggiare l'impegno dei cristiani pakistani per il rispetto dei loro diritti

Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, il ministro per le minoranze religiose del Pakistan ucciso il 2 marzo scorso per essersi opposto alla legge sulla blasfemia e aver difeso Asia Bibi, ha incontrato questa mattina Papa Benedetto XVI al termine dell'Udienza generale in Piazza San Pietro (foto). Incontrando il Pontefice, suo fratello gli ha chiesto di “continuare ad appoggiare l'impegno dei cristiani pakistani per il rispetto dei loro diritti”, ricorda L'Osservatore Romano. Paul Bhatti è stato nominato di recente consigliere speciale del Primo Ministro del Pakistan per le minoranze religiose, con poteri esecutivi, come se fosse un ministro. “È una questione che riguarda tutti i pakistani perché è in gioco il futuro pacifico del Paese attraverso l'opposizione a ogni forma di intolleranza, di violenza, di terrorismo”, ha dichiarato. A suo avviso, “il problema principale per i cristiani oggi in Pakistan è l'interpretazione eccessivamente restrittiva della cosiddetta legge sulla blasfemia”. “Da parte nostra non c'è, ovviamente, alcuna volontà di mancare di rispetto alla religione islamica”. “L'interpretazione della legge non può, quindi, mai provocare vittime innocenti tra i cristiani”. In questo contesto, è fondamentale “portare avanti un dialogo chiaro, franco, aperto, ma nella verità e nel rispetto reciproco”. Allo stesso tempo, Bhatti ha chiesto all'Occidente di “far sentire di più la propria voce per contribuire a costruire un Pakistan davvero riappacificato”. “Non ho esitato a perdonare gli assassini”, ha detto riferendosi all'omicidio del fratello. “Per un cristiano è un passo necessario, anche se non cancella il dolore. Però chiedo che venga fatta giustizia”. Condivide questo pensiero il Grande imam di Lahore, Khabior Azad, amico personale di Shahbaz Bhatti e sostenitore della collaborazione tra cristiani e musulmani in Pakistan. L'imam ha assicurato al Papa “l'impegno a proseguire il dialogo che l'omicidio di Shahbaz non deve interrompere”, osservando che “l'appoggio del Pontefice al movimento di dialogo interreligioso è decisivo”. In un'intervista alla Radio Vaticana, Paul Bhatti ha parlato delle sfide che lo attendono nell'esercizio della sua nuova funzione, a cominciare dalla legge sulla blasfemia, che “ultimamente è stata usata o interpretata soggettivamente dalla gente, per fini personali”. Un'altra sfida importante è la “discriminazione religiosa, che sta crescendo giorno per giorno”. “Non perché i fedeli non possono convivere tra loro, ma perché c’è una campagna di odio creata da una base terroristica che continua ad usare la religione”. "Dobbiamo combattere quest'odio – ha aggiunto –. Se non lo facciamo, queste vittime continueranno ad esserci. Non si tratta solo di mio fratello: in Pakistan ci sono tutti i giorni bombe che esplodono e persone che vengono uccise”.

Zenit

Il Papa agli studenti ebrei e palestinesi del corso promosso dal Vicariato di Roma: impegnarsi sempre per testimoniare pace e fraternità

“Saluto gli studenti ebrei e palestinesi e incoraggio a impegnarsi sempre per testimoniare la fraternità e la pace”. Lo ha detto Benedetto XVI nei saluti in italiano, al termine dell'Udienza generale. Tra i gruppi presenti in Piazza San Pietro c’era infatti anche quello degli studenti ebrei e palestinesi che partecipano in questi giorni a un corso promosso dall’Ufficio per la Pastorale universitaria del vicariato di Roma. Rivolgendosi poi a tutti i giovani presenti, il Papa ha affermato: “Cari giovani, incontrarvi è sempre per me motivo di consolazione e speranza perché la vostra età è la primavera della vita. Sappiate rispondere all’amore che Dio ha per voi”. Sempre in italiano, il Papa ha rivolto un saluto ai fedeli legati da “speciale devozione” al Santuario della Santissima Trinità in Vallepietra, nella diocesi di Anagni-Alatri: “Vi esorto a tenere viva la tradizione del pellegrinaggio a tale santuario, tanto radicata nella vostra terra”.

SIR

Benedetto XVI: appello per la Libia e la Costa d'Avorio, prevalgano l'opera di pacificazione e di dialogo, si evitino altri spargimenti di sangue



Appello di Benedetto XVI affinchè terminino le violenze in Costa d'Avorio e in Libia, al termine dell'Udienza generale in Piazza San Pietro. "Continuo a seguire con grande apprensione le drammatiche vicende che le care popolazioni della Costa d'Avorio e della Libia vivono in questi giorni", ha detto il Pontefice. "Mi auguro, inoltre, che il cardinale Turkson, che avevo incaricato di recarsi in Costa d'Avorio per manifestare la mia solidarietà possa presto entrare nel Paese. Prego per le vittime e sono vicino a tutti coloro che stanno soffrendo. La violenza e l'odio sono sempre una sconfitta. Per questo rivolgo un nuovo e accorato appello a tutte le parti in causa - ha concluso Benedetto XVI - affinchè prevalgano l'opera di pacificazione e di dialogo e si evitino ulteriori spargimenti di sangue".

TMNews

Il Papa: vivere pienamente la grazia del battesimo nel dono totale di sé all'amore del Padre, per vivere come Cristo il suo stesso amore per gli altri

Udienza generale questa mattina in Piazza San Pietro dove Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa, continuando il ciclo sui Dottori della Chiesa, ha incentrato la sua meditazione sulla figura di Santa Teresa di Lisieux (1873-1897).
“La ‘piccola Teresa’ non ha mai smesso di aiutare le anime più semplici, i piccoli, i poveri e i sofferenti che la pregano, ma ha anche illuminato tutta la Chiesa con la sua profonda dottrina spirituale, a tal punto che il venerabile Papa Giovanni Paolo II, nel 1997, ha voluto darle il titolo di Dottore della Chiesa, in aggiunta a quello di Patrona delle Missioni, già attribuitole da Pio XI nel 1939”. “Il mio amato predecessore – ha ricordato il Papa - la definì ‘esperta della scientia amoris’. Questa scienza, che vede risplendere nell'amore tutta la verità della fede, Teresa la esprime principalmente nel racconto della sua vita, pubblicato un anno dopo la sua morte sotto il titolo di 'Storia di un'anima'”. Di qui l’invito “a riscoprire questo piccolo-grande tesoro, questo luminoso commento del Vangelo pienamente vissuto! La Storia di un'anima, infatti, è una meravigliosa storia d'amore, raccontata con una tale autenticità, semplicità e freschezza che il lettore non può non rimanerne affascinato!”. Ma qual è questo amore che ha riempito tutta la vita di Teresa, dall’infanzia fino alla morte? “Questo amore – ha chiarito il Pontefice - ha un volto, ha un nome, è Gesù! La Santa parla continuamente di Gesù”. Di grazia in grazia, Teresa arriva a scegliere il convento dopo aver scoperto la forza del suo amore per il Crocifisso, e la certezza che le sue preghiere non restano inascoltate, nemmeno quando implorano pietà per un criminale incallito, come le accade di fare a soli 14 anni. Ha osservato il Papa:“E' la sua prima e fondamentale esperienza di maternità spirituale: ‘Tanta fiducia avevo nella Misericordia Infinita di Gesù’, scrive. Con Maria Santissima, la giovane Teresa ama, crede e spera con ‘un cuore di madre’”. Adolescente e già madre spirituale. L’esperienza del chiostro comincia per lei a quindici anni, su dispensa di Leone XIII. Il giorno della professione religiosa, Teresa è una “sposa” di Cristo assolutamente raggiante. Il nome da religiosa di Teresa di Lisieux, suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, ha precisato Benedetto XVI, “esprime il programma di tutta la sua vita, nella comunione ai misteri centrali dell'incarnazione e della redenzione”. Per Teresa “essere religiosa significa essere sposa di Gesù e madre delle anime”. Nel giorno della sua professione religiosa, “la Santa scrive una preghiera che indica tutto l'orientamento della sua vita: chiede a Gesù il dono del suo amore infinito, di essere la più piccola, e soprattutto chiede la salvezza di tutti gli uomini: ‘Che nessuna anima sia dannata oggi’”. Nel 1896 inizia la sua passione in unione profonda alla Passione di Gesù: “Si tratta – ha sottolineato il Papa - della passione del corpo, con la malattia che la condurrà alla morte attraverso grandi sofferenze, ma soprattutto si tratta della passione dell'anima, con una dolorosissima prova della fede. Con Maria accanto alla Croce di Gesù, Teresa vive allora la fede più eroica, come luce nelle tenebre che le invadono l’anima” perché “ha coscienza di vivere questa grande prova per la salvezza di tutti gli atei del mondo moderno, chiamati da lei ‘fratelli’. Vive allora ancora più intensamente l'amore fraterno” e “diventa veramente una ‘sorella universale’!”. In questo contesto di sofferenza, “la Santa porta a compimento la sua vocazione di essere l’amore nel cuore della Chiesa”. “Mio Dio, vi amo!” sono le ultime parole di Teresa di Lisieux, prima di morire il 30 settembre 1897. Nel ricordo di Benedetto XVI, “queste ultime parole della Santa sono la chiave di tutta la sua dottrina, della sua interpretazione del Vangelo. L'atto d'amore, espresso nel suo ultimo soffio, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore”. “Anche noi con Santa Teresa di Gesù Bambino – ha affermato il Papa - dovremmo poter ripetere ogni giorno al Signore che vogliamo vivere di amore a Lui e agli altri, imparare alla scuola dei santi ad amare in modo autentico e totale. Teresa è uno dei ‘piccoli’ del Vangelo che si lasciano condurre da Dio nelle profondità del suo mistero. Una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi”. “Con l'umiltà e la carità, la fede e la speranza – ha aggiunto -, Teresa entra continuamente nel cuore della Sacra Scrittura che racchiude il mistero di Cristo. E tale lettura della Bibbia, nutrita dalla scienza dell’amore, non si oppone alla scienza accademica. La scienza dei santi, infatti, di cui lei stessa parla nell'ultima pagina della Storia di un'anima, è la scienza più alta”. Inseparabile dal Vangelo, “l'Eucaristia è per Teresa il sacramento dell'amore divino che si abbassa all'estremo per innalzarci fino a Lui”. “Nel Vangelo Teresa scopre soprattutto la misericordia di Gesù”, ha spiegato Benedetto XVI. “Fiducia e amore” sono “il punto finale del racconto della sua vita, due parole che come fari hanno illuminato tutto il suo cammino di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua ‘piccola via di fiducia e di amore’, dell’infanzia spirituale”. “Fiducia – ha aggiunto ancora il Pontefice - come quella del bambino che si abbandona nelle mani di Dio, inseparabile dall'impegno forte, radicale del vero amore, che è dono totale di sé, per sempre, come dice la Santa contemplando Maria: ‘Amare è dare tutto, e dare se stesso’”. “Così – ha concluso il Santo Padre - Teresa indica a tutti noi che la vita cristiana consiste nel vivere pienamente la grazia del battesimo nel dono totale di sé all'amore del Padre, per vivere come Cristo, nel fuoco dello Spirito Santo, il Suo stesso amore per tutti gli altri”.

SIR, Radio Vaticana

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa