mercoledì 23 maggio 2012

VII IMF-Il Papa a Milano. Il 3 giugno all'Università Cattolica il 'pranzo della solidarietà' offerto da Benedetto XVI a 100 famiglie bisognose

Famiglie colpite dalla crisi, rifugiati politici, immigrati, coppie di anziani soli, tutti insieme intorno ad un tavolo per un pranzo offerto da Benedetto XVI in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. Il “pranzo della solidarietà”, organizzato da Caritas Ambrosiana, avrà luogo alla mensa dell’Università Cattolica domenica 3 giugno, ultimo giorno della vista papale nel capoluogo lombardo. Complessivamente saranno 100 famiglie (circa 300 persone di diversa nazionalità) scelte fra quelle seguite dai servizi e dei centri di accoglienza di diverse realtà caritative. Il pranzo non è la sola iniziativa di solidarietà che caratterizza l’Incontro mondiale delle famiglie. Per offrire l’opportunità anche alle famiglie che non si sarebbero potute permettere i costi di un viaggio intercontinentale, la Fondazione Milano Famiglie 2012 ha istituito il “Fondo accoglienza famiglie dal mondo” che in soli tre mesi è riuscito a raccogliere circa 50mila euro. Le risorse, gestite dall’Ufficio missionario della diocesi di Milano, hanno permesso di aiutare 28 famiglie provenienti da Zambia, Bielorussia, Brasile, Albania e Congo.

SIR

Benedetta dal Papa la croce di quattro metri che sarà portata in tutte le capitali del mondo. In mille da Enna per i 600 anni della Patrona

Una croce in legno, alta quattro metri, sarà portata in tutte le capitali del mondo "come segno di gratitudine a Dio". Questa mattina, prima dell'Udienza generale, il Papa l’ha benedetta, ripetendo così il gesto compiuto da Giovanni Paolo II il 10 marzo 2004. Finora la croce, su iniziativa di un gruppo di fedeli ucraini di Leopoli, nella prospettiva della celebrazione, nel 2033, dei duemila anni della Risurrezione di Cristo, ha attraversato Ucraina, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Germania, Islanda, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Da tempo la croce è a Roma: è stata anche portata nelle Basiliche papali di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo. Ora riprenderà il viaggio nel mondo. C’è in questa iniziativa una valenza ecumenica. La stessa che ha spinto anche don Vladimiro Timoshenko, parroco dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a Novgorod, in Russia, a portare al Papa l’icona di Sant’Olaf per la benedizione. L’immagine sarà ora posta nella chiesa, in sostituzione di un’antica e veneratissima icona del Santo andata distrutta. Particolarmente folti i pellegrinaggi italiani. In seimila sono venuti da Nola alla vigilia del Sinodo. E in mille da Enna per ricordare i seicento anni della proclamazione di Maria della Visitazione Patrona della città: ad accompagnare il gruppo siciliano il vescovo Michele Pennisi e Salvatore Martinez, presidente del comitato scientifico delle celebrazioni. Il Pontefice ha poi benedetto la fiaccola che l’Unione sportiva delle Acli porterà a Napoli, i ragazzi del carcere minorile di Nisida saranno gli ultimi tedofori, per una tre giorni di iniziative allo scopo di promuovere l’etica nello sport e opporsi a ogni forma di razzismo. Le Acli hanno presentato al Papa anche il premio nazionale Enzo Bearzot, un alto rilievo che sarà consegnato all’allenatore del Napoli calcio, Walter Mazzarri. Infine, a Benedetto XVI sono state donate alcune reliquie dei Beati Giuseppe Toniolo e Clemente Vismara.

L'Osservatore Romano

Telegramma di cordoglio di Benedetto XVI per le vittime dell'incidente stradale in Albania: fervida preghiera per i defunti e per i feriti

L’espressione di “sentimenti di profondo cordoglio ai familiari delle vittime” e l’assicurazione della “fervida preghiera per i defunti e per i feriti”. A rivolgerle oggi a mons. Hil Kabashi, amministratore apostolico dell’Albania meridionale, è Benedetto XVI in un telegramma inviato dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, a seguito del grave incidente stradale avvenuto il 21 maggio nella località di Himara, nel sud del Paese. Un pullman è precipitato in un burrone causando la morte di 13 persone (12 studenti) e il ferimento di altre 20, di cui 14 in condizioni gravissime. Nel messaggio di cordoglio, inviato al nunzio apostolico in Albania, mons. Ramiro Molines Ingles, con preghiera di farlo pervenire a mons. Kabashi, il Papa “invoca da Dio il conforto per quanti soffrono la drammatica perdita dei loro cari” e “le divine benedizioni sull’intera nazione colpita da così tragico evento”.

SIR

Il Papa: lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza l'adozione filiale a cui sono chiamati gli uomini

Udienza generale questa mattina in Piazza San Pietro, dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa, continuando la sua riflessione sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo, ha incentrato la sua meditazione sul tema "Lo Spirito e l’ "abbà" dei credenti (cfr Gal 4,6-7; Rm 8,14-17). La considerazione di partenza della densa riflessione del Papa sul modo di pregare Dio parte da una constatazione realistica, ovvero da quella incolmabile distanza che l’essere umano, e molto spesso anche il credente, avverte tra sé e il cielo: “Forse l’uomo d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola ‘padre’ con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana. L'assenza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi”. Invece, ha osservato Benedetto XVI citando San Paolo, il cristiano non ha ricevuto uno spirito da schiavo. Può rivolgersi a Dio con la “fiducia” dei bambini, con quella “relazione filiale analoga a quella di Gesù”. Ma per farlo, ha sottolineato, è necessario che sia lo Spirito Santo a insegnargli come parlare, Lui che “è il grande maestro della preghiera”: “Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri umani...Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell'amore al Padre che ci ama”. Come Gesù ha aperto all’uomo le porte del cielo, lo Spirito Santo apre le porte dell’anima dell’uomo e lo aiuta a comprendere ciò che non lo sarebbe senza il suo aiuto, l’amore sconfinato che lega il Figlio al Padre e che è modello per il nostro rapporto con Dio: “Egli è l’Amore, e anche noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore di Dio che purifica i nostri desideri, i nostri atteggiamenti segnati dalla chiusura, dall’autosufficienza, dall’egoismo tipici dell’uomo vecchio”. La “paternità di Dio”, ha proseguito Benedetto XVI, ha “due dimensioni”: quella per cui ogni uomo e ogni donna “è un miracolo” di Dio in quanto Creatore, ma anche l’altra per cui Dio ci ha creati a sua immagine e quindi la sua non è una paternità lontana, distaccata. Per Dio, ha detto il Pontefice, “non siamo esseri anonimi e impersonali, ma abbiamo un nome”:“Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù: noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra vita”. Infine, Benedetto XVI ha spiegato che non esiste preghiera dell’uomo a Dio se non è lo Spirito a invocare Dio per bocca dell’uomo. La ricerca dell’assoluto nell’uomo, ha osservato, esiste fin dal tempo dell’Homo sapiens. Ma è dopo la Rivelazione di Cristo al mondo e l’istituzione della Chiesa che questa ricerca è entrata in una nuova dimensione: “Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore, nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo. Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio...Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: ‘Abbà! Padre!’ è la Chiesa, tutta la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra invocazione è invocazione della Chiesa”. "Impariamo - la conclusione del Papa - a gustare nella nostra preghiera la bellezza di essere amici, anzi figli di Dio, di poterlo invocare con la confidenza e la fiducia che ha un bambino verso i genitori che lo amano. Apriamo la nostra preghiera all'azione dello Spirito Santo perché in noi gridi a Dio Abbà Padre e perché la nostra preghiera cambi, converta costantemente il nostro pensare, il nostro agire per renderlo sempre più conforme a quello di Gesù Cristo".

Radio Vaticana, AsiaNews

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa

CAPACI, 23 MAGGIO 1992-2012. GIOVANNI FALCONE: A TESTA ALTA

“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. “L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Altrimenti non è più coraggio, è incoscienza!”. “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
(Giovanni Falcone)

"Cari giovani di Sicilia, siate alberi che affondano le loro radici nel 'fiume' del bene! Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo, come tante volte i nostri vescovi hanno detto e dicono!".
(Benedetto XVI, 3 ottobre 2010)

Scola: ognuno ha sua sensibilità ma tra i cardinali c'è una unità superiore a quella che si può immaginare, è diverso da quello che i media descrivono

"Ognuno di noi ha la sua sensibilità, non procediamo per categorie, ma tra i cardinali c'è una unità superiore a quella che si può immaginare, la situazione è diversa da quella che i media descrivono". Lo ha affermato il card. Angelo Scola (nella foto con Benedetto XVI), arcivescovo di Milano, interrogato dai giornalisti sulle tensioni nella Santa Sede delle quali parlano libri e giornali. "Tra noi cardinali - ha assicurato Scola - c'è un clima di fiducia: io ascolto i miei fratelli americani, ad esempio, sulla politica di Obama e assumo la loro posizione, ne sanno più di me che si e no vado negli States una volta l'anno per un paio di giorni a tenere una conferenza. Mi fido cioè del giudizio del presidente dei vescovi americani, card. Thimoty Dolan, e lo stesso fa il Papa". "Non posso entrare nell'intimo del Papa", ha poi aggiunto l'arcivescovo di Milano rispondendo a una domanda specifica riguardante le parole pronunciate lunedì da Benedetto XVI. "Insomma - ha concluso Scola - le sue notti oscure non le so, ma ieri il Pontefice ha detto tutti abbiamo bisogno di amicizia vera e che i cardinali sono i suoi amici. Una dichiarazione che mi sembra importante riportare".

Agi

'Norme sopra il modo di procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni': tradotto e diffuso il documento approvato da Paolo VI

Visioni, rivelazioni e messaggi divini. La storia della Chiesa è piena di eventi mistici. Dalle apparizioni di Fatima e Lourdes, cioè delle manifestazioni terrene della Madonna riconosciute dall’autorità del Papa, vescovi e teologi di tutto il mondo hanno dovuto affrontare molteplici fenomeni soprannaturali. E la domanda è sempre la stessa: come giudicare se sono veri? La risposta ce l’ha il Vaticano e si prepara a metterla a disposizione di tutti. Il documento che contiene le chiavi per l’analisi di questi casi s’intitola “Norme sopra il modo di procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni”. Approvato nel 1978 da Papa Paolo VI, il suo contenuto è rimasto riservato solo per prelati e specialisti. Tra l’altro perché l’unica versione ufficiale disponibile era in latino. Tra pochi giorni, invece, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicherà le traduzioni dei testi in italiano, spagnolo, tedesco, inglese e francese. Saranno le versioni ufficiali e definitive. La Libreria Editrice Vaticana ha già stampato diverse copie e la notizia sarà riportata ne L’Osservatore Romano. Si tratta di un vademecum sui passi da seguire quando si è in presenza di una possibile apparizione. Diversamente dalla credenza popolare, è sempre il vescovo di ogni luogo che deve studiare, in prima persona, il presunto fenomeno soprannaturale e non il Vaticano. La Sede Apostolica non ha dei periti specializzati o dei ricercatori scientifici, anche se può intervenire in certi casi particolari ed estremi. Questo nonostante la Curia romana riceva, ogni anno, diversi faldoni di presunte rivelazioni. Episodi della natura più composita sono inviati alle diocesi. Nei tempi di internet, le notizie di queste visioni si diffondono con velocità tra i fedeli e la facilità di viaggiare favorisce pellegrinaggi spontanei. Questo rappresenta una sfida per le autorità ecclesiastiche. Una preoccupazione che condivide anche Benedetto XVI, il quale nella sua Esortazione Apostolica post-sinodale “Verbum Domini” ha riconosciuto la necessità di "aiutare i fedeli nel distinguere bene la parola di Dio delle rivelazioni private", la cui funzione non è quella di completare la rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in un certo periodo storico. Per identificare la credibilità di un fenomeno straordinario, le norme offrono criteri "positivi" e "negativi". Lo scopo principale è difendere la fede del popolo ed evitare la proliferazione di avocazioni che smentiscono l’insegnamento della Chiesa o che, direttamente, a esso si oppongano. Una ricerca rigorosa sul presunto fatto è indispensabile per garantire la certezza morale della sua manifestazione. L’equilibrio psichico del "veggente" è una condizione necessaria, così come le sue onestà, rettitudine di vita, sincerità, mansuetudine all’autorità ecclesiastica e capacità per ritornare a una normale vita di fede. Inoltre gli episodi di psicosi o isteria collettiva devono essere esclusi. Le conversioni da sole non bastano per riconoscere una manifestazione divina, anche se "i frutti spirituali abbondanti e costanti" hanno un loro peso. I messaggi ricevuti dai veggenti devono corrispondere con una dottrina senza errori. Gli elementi di sfiducia costituiscono, ad esempio, un evidente affanno di lucro vincolato con il fatto in questione o degli atti immorali commessi dal soggetto o i suoi seguaci durante o in occasione dello stesso. Ogni vescovo deve vigilare, informarsi e agire per correggere o prevenire abusi nell’esercizio del culto, per condannare dottrine sbagliate e per evitare il pericolo del falso misticismo. Se si arriva alla certezza di trovarsi di fronte a un episodio divino, il vescovo ha le facoltà di permettere manifestazioni pubbliche di devozione. La decisione dì pubblicare le norme è stata presa indipendentemente dagli episodi particolari e le sue direttive si applicano in tutti i casi. Ma è anche importante il fatto che saranno pubblicate proprio quando una commissione internazionale creata dal Vaticano studia le presunte apparizioni mariane nel piccolo paesino bosniaco di Medjugorje; un fenomeno di fama mondiale con migliaia di seguaci e accaniti detrattori, sul quale la Santa Sede è disposta a pronunciarsi, secondo dei criteri obiettivi che ora saranno disponibili per tutti i casi di apparizioni.

Andrés Beltramo Alvarez, Vatican Insider

Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni

Prefazione (card. William Levada, prefetto)

Sulla pedofilia i vescovi italiani si nascondono dietro un dito. Nelle linee guida niente delle raccomandazioni nate dal coraggioso impulso del Papa

Nel marzo del 2010 mons. Charles J. Scicluna, "procuratore generale" del Vaticano, denunciò “una certa cultura del silenzio” ancora “troppo diffusa” in Italia sul dramma della pedofilia del clero. Lo fece in un’intervista ad Avvenire che creò un comprensibile scalpore. Da allora per la Santa Sede e per Chiesa cattolica mondiale sono passati lunghissimi mesi densi di cambiamenti profondi, ma per i vescovi italiani, che oggi hanno presentato le nuove linee-guida contro gli abusi sessuali dei minori, poco o niente sembra mutato. Il documento della Conferenza episcopale italiana è minimale. La Santa Sede ha modificato la normativa canonica. La Pontificia Università Gregoriana ha organizzato un simposio internazionale importante e bello. I vescovi di altri Paesi, Stati Uniti, Germania, Austria, hanno aperto numeri verdi per le denunce, hanno creato uffici nazionali anti-pedofilia, hanno ingaggiato psicologi e avviato corsi di formazione. Così anche singoli, coraggiosi presuli italiani, come i due vescovi che si sono succeduti in questi anni a Bressanone. La Conferenza Episcopale italiana, però, non ha fatto nulla di tutto questo. E poco importa che, quando Bressanone aprì una linea telefonica ‘ad hoc’ per le denunce di casi sospetti nella diocesi, arrivarono telefonate anche dalla Sicilia… La circolare vaticana del 2011, sotto il coraggioso impulso di Benedetto XVI, raccomandava agli Episcopati di tutto il mondo di “offrire assistenza spirituale e psicologica alle vittime”, raccomandava “diligenza particolare” nel “doveroso scambio d`informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all`altro”, raccomandava “programmi educativi di prevenzione”, per assicurare “ambienti sicuri per i minori”, indicava l’esempio del Papa, che ha incontrato vittime dei preti pedofili in svariati Paesi del mondo, per incoraggiare i vescovi a fare altrettanto. Nelle linee guida della CEI, nulla di tutto questo. Il documento italiano, in particolare, riconosce che è “importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili”, ma stabilisce che “il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto”. La precisazione sorprende non solo perché sembra ignorare che, nell’ordinamento giuridico italiano, se una persona (compreso un vescovo) viene a conoscenza di un reato e non lo denuncia, può essere condannata per favoreggiamento dello stesso reato. Non solo perché nel recente passato un magistrato esperto della materia ha denunciato che non gli era “mai, e sottolineo mai, arrivata una sola denuncia né da parte di vescovi, né da parte di singoli preti”. Ma perché, più semplicemente, seppure non previsto dall’ordinamento italiano, non si capisce perché i vescovi non debbano – per sensibilità pastorale, per indignazione umana, per senso di giustizia – denunciare quello che il Papa in persona ha definito un “crimine odioso”, oltre che un “grave peccato”.

Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta