giovedì 31 gennaio 2013

Dopo due anni di lavoro disponibili su internet un primo gruppo di 256 manoscritti digitalizzati della Biblioteca Apostolica Vaticana, provenienti dal Fondo Palatino. Prima tappa del progetto di digitalizzazione degli ottantamila manoscritti conservati

Sì, i miracoli tecnologici esistono. Eccome se esistono. A partire da oggi a chiunque, in qualsiasi latitudine del pianeta si trovi, è consentito sfogliare col proprio computer, pagina dopo pagina, i 256 codici miniati che fanno parte del Fondo Palatino della Biblioteca Apostolica Vaticana. Manoscritti rarissimi conservati gelosamente in un bunker sotto il Palazzo Apostolico in condizioni ideali, al buio totale, ad un tasso di umidità relativa del 50%, tra i 18 e i 20 gradi centigradi, ma che una gigantesca operazione di digitalizzazione intrapresa da Benedetto XVI ha reso finalmente fruibili. E’ facile. Basta andare sul sito della Biblioteca (www.vaticanlibrary.va) per iniziare uno straordinario viaggio nel tempo e nello spazio. Ci sono voluti due anni, una montagna di lavoro, una equipe di 12 persone impiegate in pianta stabile e una tecnologia all’avanguardia per arrivare ad una riproduzione perfetta e ad altissima definizione. Basta un clic e voilà. Dall’elenco dei numeri che appaiono sul sito, dall’uno al 256, tanti sono i volumi riprodotti, si materializzano i capolavori, prendono corpo le immagini, si svelano i colori sapientemente miscelati dai monaci che nel Medio Evo operavano silenziosi facendo arrivare fino a noi questo sterminato giacimento. Evangeliari, commentari, trattati di morale, studi sulla geografia, atlanti di Battista Agnese ma anche opere filosofiche, commedie. Tra i libri, spulciando, ci sono pure Petrarca e Alighieri. E poi pergamene, classici come il "De Officis", un'opera filosofica di Cicerone che tratta dei doveri a cui ogni uomo deve attenersi in quanto membro dello Stato; c’è il registro delle epistole di Gregorio Magno, i "Fatti e detti memorabili" di Valerio Massimo che passa in rassegna dei vizi e delle virtù illustrandoli attraverso personaggi ed episodi storici. L’oro dei capolettera sfavillano illuminando i colori vividi dei fregi arabescati a tempera, racchiudendo frasi latine sulle quali, si sono esercitate schiere di liceali per le versioni. Eccone una, presa tra tante: "Presso gli antichi nessuna azione, non solo pubblica, ma anche privata, veniva compiuta, se prima non fossero stati presi i relativi auspìci. Questa consuetudine ha fatto in modo che anche oggi gli àuspici partecipino alle nozze: ed anche se costoro non chiedono più gli auspìci, il loro stesso nome rivendica ad essi le vestigia dell'antica usanza". Forse l’opera più curiosa del fondo Palatino, ricchissima di illustrazioni e catalogata al numero 1071 è il trattato di falconeria di Federico II, il "De arte venandi cum avibus". L’imperatore tedesco, a capo del Sacro Romano Impero era letteralmente affascinato dalla caccia con il falco da introdurla e diffonderla in occidente. La considerava non solo uno svago ma una manifestazione simbolica del potere legata a precisi rituali. Federico II (1194-1250) si documentò a fondo, convocando a corte diversi falconieri arabi. Dal mondo arabo imparò l'uso del cappuccio in sostituzione della tecnica "di cigliare", che consisteva nel cucire le palpebre dei rapaci per poi allentare gradualmente la chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento. Il trattato sulla falconeria fu miniato subito dopo la sua morte e contiene due particolarità. La prima è il ritratto, quasi fotografico, dell’imperatore che appare nella pagina di introduzione. "Chi lo realizzò conosceva sicuramente quest’uomo" spiega Ambrogio Piazzoni, vice prefetto della Biblioteca Vaticana. La seconda cosa singolare riguarda la completezza delle illustrazioni sulle specie di uccelli esistenti, molte delle quali ormai estinte. Gli animali sono talmente ben disegnati e descritti da rendere possibile una analisi del panorama ornitologico in Europa all’epoca federiciana. "Questo trattato è famosissimo e viene consultato persino dagli studiosi di ornitologia". La fruizione planetaria grazie al digitale portata avanti dal Prefetto monsignor Pasini rientra nella filosofia costitutiva della Biblioteca Vaticana. Fra gli scopi che le diede Niccolo V (1447-1455) c’è proprio quello di raccogliere i libri per "la comune utilità degli uomini di scienza". Fino ad allora il privilegio di consultare gli allora 350 volumi era di esclusivo appannaggio della curia. Con il tempo grazie ad importanti lasciti avvenuti nel corso di cinque secoli il patrimonio librario conservato al di là del Tevere è cresciuto a dismisura fino a diventare il numero uno al mondo. I codici custoditi sono circa 80mila; latini, ma anche greci, ebraici, copti, siriaci, armeni, etiopici, cinesi, giapponesi e coreani. Se tutto andrà avanti senza intoppi nell’arco di una decina d’anni saranno interamente digitalizzati. Si tratta di una operazione imponente che richiede però notevoli risorse finanziarie. In Vaticano non hanno timori, la Provvidenza farà il resto...
 
Franca Giansoldati, Il Messaggero
 

Marco e Impagliazzo e mons. Lucio Andrice Muandula nominati consultore e membro del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. II Papa annovera tra i membri dei dicasteri e organismi della Curia romana i cardinali creati nel Concistoro del 24 novembre

Il Papa ha nominato membro del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti mons. Lucio Andrice Muandula, vescovo di Xai-Xai, e presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico. Il Papa inoltre ha nominato consultore dello stesso dicastero Marco Impagliazzo, ordinario di Storia contemporanea presso l'Università per stranieri di Perugia, e presidente della Comunità di Sant'Egidio. II Santo Padre ha inoltre annoverato tra i membri dei dicasteri e degli organismi della Curia romana i cardinali creati e pubblicati nel Concistoro del 24 novembre 2012: nella Congregazione per la Dottrina della Fede John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, nella Congregazione per le Chiese Orientali Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, e Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi, nella Pontificia Commissione per l'America Latina Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli James Michael Harvey, arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, nel Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica Béchara Boutros Raï, nel Comitato di Presidenza del Pontificio Consiglio per la Famiglia John Olorunfemi Onaiyekan e Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila; nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace Rubén Salazar Gómez, nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Béchara Boutros Raï e Luis Antonio G. Tagle, nel Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso Baselios Cleemis Thottunkal, nel Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali Béchara Boutros Raï, nell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica James Michael Harvey,.

Avvenire, Radio Vaticana

RINUNCE E NOMINE

Mons. Fellay: morire per salvaguardare la fede cattolica, tutto perdere per salvaguardare la fede, ecco quello che noi vogliamo ed ecco perché Roma ci condanna

"Morire per salvaguardare la fede cattolica, tutto perdere per salvaguardare la fede, ecco quello che noi vogliamo ed ecco perché Roma ci condanna". Lo ha detto domenica scorsa, alla fine della sua omelia, mons. Bernard Fellay (foto), superiore della Fraternità San Pio X. Fellay ha celebrato l'ordinazione sacerdotale di don Bertrand Lundi nella chiesa parigina di Saint-Nicolas du Chardonnet. Negli accenni dell'omelia dedicati ai rapporti con la Santa Sede, il vescovo lefebvriano ha anche dichiarato: "Questa è la nostra storia, quella della Fraternità, quella del nostro fondatore. E questa storia, miei carissimi fratelli, continua. Direi finanche che, davanti a questa realtà sublime, parlare di accordi o meno con Roma, è una sciocchezza" ("est une bagatelle"). Parole pronunciate dopo aver ricordato l'azione di mons. Lefebvre, al cui "carisma" aveva fatto cenno anche la lettera inviata prima di Natale allo stesso Fellay e ai preti della Fraternità dall'arcivescovo statunitense Augustin Di Noia, vicepresidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", nel tentativo di sbloccare lo stallo nel dialogo tra la Santa Sede e il gruppo tradizionalista. Ha provocato discussioni, in particolare su uno dei forum più vicini all'ala più intransigente della Fraternità, il fatto che il neo-sacerdote, proveniente da una famiglia legata da decenni al gruppo tradizionalista, indossasse una pianeta che portava ricamato uno stemma papale simile a quello di Benedetto XVI (anche se con la tiara e non con la mitria). Altre polemiche sui forum tradizionalisti hanno riguardato un sacerdote dell'Istituto Buon Pastore, in comunione con Roma, che sarebbe stato invitato alla cerimonia ma al quale poi non sarebbe stato permesso di accedere al presbiterio per assistere all'ordinazione. Le parole di Fellay non vanno sopravvalutate e sarebbe sbagliato trarre da esse conclusioni circa la risposta che il Vaticano attende alla proposta consegnata lo scorso 14 giugno. Ma non c'è dubbio che si tratti di espressioni comunque indicative.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Card. Sepe: il Papa ha chiesto ai vescovi della Campania di farsi voce dei più deboli, dei più umiliati, di coloro che vengono sopraffatti, soprattutto dei giovani che non riescono a causa della mancanza di lavoro a realizzare i propri sogni e aspirazioni, di lottare contro la camorra

Un forte incoraggiamento a continuare la lotta della Chiesa alla criminalità organizzata e in favore dell'occupazione dei giovani. È quello che Benedetto XVI ha rivolto oggi ai vescovi della Campania, ricevendone un secondo gruppo in visita "ad Limina apostolorum". "Il Papa era già intervenuto altre volte, ma in questo caso ha chiesto di farci voce - noi come Chiesa, e nel nome di Cristo - dei più deboli, dei più umiliati, di coloro che vengono sopraffatti, soprattutto di quelli che non riescono a causa della mancanza di lavoro - mi riferisco ai giovani - a realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni", ha spiegato il card. Crescenzio Sepe (foto), arcivescovo di Napoli, ai microfoni della Radio Vaticana. Parlando delle preoccupazioni e dei problemi avvertiti dal Pontefice, il card. Sepe ha sottolineato che "prima di tutto sono quelli di ordine sociale: mancanza di lavoro, presenza delle attività camorristiche che impediscono lo sviluppo non solo sociale ma anche umano dei nostri territori, l'inquinamento, e tutte quelle cose che purtroppo caratterizzano un po' il nostro vivere in questa realtà campana". "Ma, in ogni caso - ha proseguito -, il Santo Padre, sia perché precedentemente era spesso intervenuto, sia perché ha visto l'impegno dei vescovi e dei sacerdoti, ci ha detto di andare avanti". Sepe, rimarcando la vicinanza del Papa ai problemi del territorio, ha anche detto che i presuli tornano in Campania "carichi di questa bontà". "La visita 'Aad Limina' - ha concluso - è sempre un segno di profonda comunione dei vescovi con il Papa e dei vescovi tra loro. Alla fine ho visto anche le sensazioni degli altri confratelli vescovi che erano molto soddisfatti e soprattutto molto carichi per questo incoraggiamento ricevuto dal Papa".
 
Vatican Insider
 

Incidenti nel carcere di Uribana in Venezuela. Telegramma di cordoglio del Papa: lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici

Dopo i violenti scontri verificatisi il 25 gennaio scorso nel carcere venezuelano di Uribana, costati la vita a 58 persone, in gran parte detenuti, il Papa invita le autorità del Paese a operare perché questi fatti drammatici non si ripetano mai più. Benedetto XVI esorta le istituzioni a “continuare a lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici”. L’appello è contenuto in un telegramma di cordoglio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il Papa esprime il proprio profondo dolore per i “tragici incidenti” assicurando la sua preghiera per i defunti e “la sua più profonda vicinanza spirituale e solidarietà” alle famiglie delle vittime e ai circa 90 feriti. Proprio ieri, il governo venezuelano ha prorogato di altri tre mesi lo stato di emergenza carceraria per la costruzione di nuovi penitenziari. Secondo l’Osservatorio venezuelano delle prigioni, nel Paese ci sono oltre 45 mila detenuti in strutture che potrebbero ospitarne al massimo 15 mila. L’esecutivo ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto: secondo una prima ricostruzione, ad innescare gli incidenti sarebbe stata una perquisizione condotta dalla Guardia nazionale. Alcune bande avrebbero approfittato dell’occasione per aggredire gli agenti: ne sarebbe nato uno scontro durissimo, con i detenuti che avrebbero rubato le armi, ma si ipotizza che altre munizioni fossero all’interno del carcere. Testimoni hanno parlato anche di due esplosioni. Il penitenziario dovrebbe ospitare 850 persone ma al momento ce ne sono 2.500. Per la Commissione Onu per i diritti umani la responsabilità degli scontri è da attribuire alle autorità venezuelane. La Chiesa venezuelana, da parte sua, parla di una “politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all'umiliazione subita dalle famiglie” dei detenuti e invoca “un'indagine indipendente e imparziale, che permetta di processare e punire i responsabili”.

Radio Vaticana

Presentata l'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura. Card. Ravasi: porsi in ascolto della questione giovanile che, anche nella Chiesa, diventa più accesa a causa, tra l'altro, dell'evidente difficoltà nella trasmissione della fede

Nel mondo dei giovani la Chiesa non dev’essere "un termometro per valutarne solo lo stato di salute, ma un termostato per scaldarne gli ambienti", a cominciare da quelli virtuali. È una vera e propria immersione nelle culture giovanili emergenti, un dialogo a tutto campo, aperto e senza reticenze o censure, la proposta del card. Gianfranco Ravasi per l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, che si svolgerà dal 6 al 9 febbraio. Presentandone i contenuti nella Sala Stampa della Santa Sede, nella mattina di giovedì 31 gennaio, giorno della festa di don Bosco, "un uomo che ha saputo creare una sintonia nuova con i ragazzi", il porporato ha messo in evidenza come oggi i giovani abbiamo tanto da dire, con la loro ricchezza e le loro contraddizioni; e ha invitato gli adulti a fare un esame di coscienza per averli esclusi "con corruzione, incoerenza, disoccupazione". La plenaria vuole proprio conoscere dal di dentro le culture e i linguaggi dei giovani per consegnare nelle mani della Chiesa le chiavi giuste per comunicare con loro direttamente ed efficacemente. Il cardinale ha invitato ad avere fiducia nelle nuove generazioni, indicando l’eccezionale impegno nel volontariato; e anche nella Chiesa, ha aggiunto, non bisognerebbe aver paura di affidare loro incarichi di primo piano. Ha poi messo in guardia dal rischio di rincorrere le mode del momento per cercare di stare comunque al passo con i tempi. Questa, ha rilevato, è una generazione che fa molte domande e diventa decisivo dare risposte che abbiano un senso pieno. Dal porporato è arrivato anche un invito a non disperdere le grandi esperienze delle parrocchie e degli oratori. In queste prospettive la cultura ha oggi più che mai la funzione di segnalare i movimenti interiori degli uomini e, secondo l’ispirazione del Concilio Vaticano II, di scrutare i segni dei tempi, non tanto per registrarli quanto per incidere in essi. Per la Chiesa entrare nei nuovi mezzi di comunicazione, a cominciare da Twitter, non è una necessità fine a se stessa ma un modo per comunicare davvero e comprendere come il mondo stia cambiando. Il "segreto" di tutto, ha spiegato il card. Ravasi, è la conversione: "Convertitevi e credete al Vangelo" è, del resto, una perfetta espressione per Twitter. Mettendo da parte ogni "stampo freddo nell’analisi del mondo giovanile", il porporato ha suggerito di puntare piuttosto "sulla fede nei giovani, cioè sulla fiducia nelle loro potenzialità, pur sepolte sotto quelle differenze che a prima vista impressionano". Si tratta di entrare in questa "zona grigia del mondo giovanile" per stare accanto alle persone, soprattutto a quelle più deluse da "una politica che non può guardare solo all’economia" senza avere anche "un respiro alto e grandi prospettive". Porsi "in ascolto della questione giovanile", che, anche nella Chiesa, "diventa più accesa a causa, tra l'altro, dell'evidente difficoltà nella trasmissione della fede". La plenaria tenterà di elaborare una "buona visione" relativamente "alle trasformazioni della cultura e della società, ai problemi della famiglia, ai conflitti intergenerazionali e più in generale a come la generazione giovanile di oggi vive ed entra in rapporto con tali cambiamenti sociali". "Che sia avvenuto un salto generazionale lo si registra subito a livello di comunicazione", ha detto Ravasi. "Già in partenza, infatti, mi accorgo che il loro udito è diverso dal mio: mi sono persino esposto all'ascolto di un cd di Amy Winehouse per averne la prova immediata. Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti". Per Ravasi la lingua dei giovani "è diversa dalla mia, e non solo perché usano un decimo del mio vocabolario", "la loro comunicazione ha adottato la semplificazione del twitter, la pittografia dei segni grafici del cellulare; al dialogo fatto di contatti diretti visivi, olfattivi e così via hanno sostituito il freddo 'chattare' virtuale attraverso lo schermo". Inoltre, "il loro passeggiare per le strade con l'orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche segnala che sono 'sconnessi' dall'insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti. In un certo senso - ha aggiunto il porporato - calano una visiera per autoescludersi anche perché noi li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità. E qui dovrebbe affiorare un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente". In questo senso, bisogna "dare più attenzione ai giovani anche nella Chiesa, dove dovrebbero poter accedere anche a incarichi di responsabilità". Hanno fatto seguito le testimonianze di due giovani, il fiorentino Alessio Antonielli e Farasoa Mihaja Bemahazaka, originaria del Madagascar, studentessa di economia a commercio a Firenze. Insieme hanno indicato "negli incontri personali, nelle relazioni dirette di amicizia, nelle testimonianze credibili, il sistema migliore per evangelizzare i giovani". Non solo dunque il mondo virtuale. Alessio, in particolare, ha riconosciuto nelle domande esistenziali la cifra comune alle esperienze di tutti i giovani. La risposta però deve superare "superficialità, pressappochismo e indifferenza" che caratterizzano le realtà giovanili. Per questo Antonielli ha invitato la Chiesa ad aumentare ancora "la quantità della sua presenza nelle nuove piazze". È decisivo, ha aggiunto, "tradurre bene il messaggio", mettendo mano al vocabolario dei "nativi digitali" che hanno il loro "alfabeto emotivo" nel maneggiare i sempre più moderni e numerosi strumenti tecnologici che, con rapidità, creano relazioni e accorciano distanze. "Oggi i giovani - ha concluso - vogliono le risposte in un click. Non so quale sia la soluzione ma questo è lo scopo della plenaria". Lo ha confermato mons. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio, presentando il programma dei lavori. "Vogliamo indagare con oggettività - ha detto - il fenomeno nuovo, complesso e frammentato delle culture giovanili", consapevoli che "anche nella fede c’è bassa natalità". Così non è un caso che la plenaria si apra nel pomeriggio del 6 febbraio con un concerto della rock band vicentina The Sun.

L'Osservatore Romano, TMNews

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA ANNUALE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA (6-9 FEBBRAIO 2013)

Nuovo incontro nei negoziati bilaterali tra la Santa Sede e la Palestina: atmosfera aperta e cordiale, si giunga a una rapida conclusione. Contributo vaticano di 100mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Natività a Betlemme

In seguito ai negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, si è tenuto ieri un incontro ufficiale a Ramallah, presso il Ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina. I colloqui sono stati guidati da Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati. Le parti, informa un comunicato congiunto, hanno avuto uno scambio di vedute sulla bozza d’accordo in esame, in particolare sul Preambolo e sul Capitolo I del documento. I colloqui si sono realizzati “in un’atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina”. Le delegazioni, spiega la nota, “hanno espresso l’augurio che i negoziati siano accelerati e giungano ad una rapida conclusione”. È stato così concordato che si riunirà un “gruppo tecnico congiunto per darvi seguito”. È stata infine espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100 mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Natività a Betlemme.

Radio Vaticana

JOINT COMMUNIQUÉ ON THE BILATERAL MEETING BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF PALESTINE (30 JANUARY 2013)

mercoledì 30 gennaio 2013

Giornata Mondiale della Gioventù 2013. Card. Braz De Aviz: eco profonda in Brasile e in tutta l’America latina dove è forte la presenza di giovani aperti alla ricerca spirituale e al senso della vita. L'arrivo del Papa opportunità splendida per rafforzare questa identità

“La GMG avrà una eco profonda in Brasile e in tutta l’America latina dove è forte la presenza di giovani aperti alla ricerca spirituale e al senso della vita. La visita di Benedetto XVI, che è una figura significativa per il nostro Continente, è un’opportunità splendida per rafforzare questa identità che non è solo della Chiesa di Rio ma di tutta l’America Latina”. Nelle parole del cardinale brasiliano Joao Braz De Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, c’è tutta l’attesa per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio di questo anno. Tutto è quasi pronto a Rio per accogliere i pellegrini, ne sono attesi circa due milioni, in buona parte dal Continente latino-americano, spiega il cardinale che all'agenzia SIR rivela che “all’inizio del cammino organizzativo le Autorità della città avevano la testa rivolta soprattutto ai mondiali di Calcio del 2014 e alle Olimpiadi del 2016, e non avevano ben compreso la dimensione della GMG. Se i mondiali possono portare in Brasile circa mezzo milione di persone, la GMG ne porterà circa due milioni, un numero che ha stupito le Istituzioni. Non mancano i problemi sul campo ma l’impegno nel risolverli concretamente è forte grazie anche all’intesa tra la città di Rio e la Santa Sede”. A preoccupare è la sicurezza visto il tasso di criminalità della città carioca. Rassicurante a riguardo il prefetto: “Ci sono stati sviluppi molto positivi in questo senso negli ultimi anni. Le Forze dell’ordine hanno ripreso il controllo di diverse favelas in mano alla criminalità. La Polizia sta riuscendo a contenere la criminalità combattendo anche la corruzione al suo interno”. Un cenno particolare il cardinale lo riserva all’aspetto missionario e sociale della Gmg che potrebbe essere considerato retaggio della teologia della liberazione che ancora pervade il Continente latino-americano: “Non si può ricercare la soluzione dei problemi sociali al di fuori della visione della fede e non può esserci un rapporto con Dio senza un impegno sociale profondo”.
 
SIR
 

GMG RIO - Un'identità più forte. Il card. Joao Braz De Aviz è sicuro: sarà un grande evento di popolo

In Brasile non avevano capito che la GMG è più importante dei mondiali: intervista al card. brasiliano Joao Braz de Aviz (Vatican Insider)

Anno della fede. Accanto ai più vulnerabili: in Orissa una rete di organizzazioni cristiane contro la tratta di esseri umani e la povertà. Mons. Barwa: sono orgoglioso di poter dire che se anche siamo lo Stato più povero e illetterato dell’India, siamo ricchi nella nostra fede in Dio

Accanto ai poveri, per garantirne le più semplici necessità alimentari e per lottare con determinazione contro l’aberrante tratta degli esseri umani. Non c’è nulla di più importante ed efficace per vivere a pieno e con convinzione l’Anno della fede. Ne è convinta una rete di organizzazioni cristiane, cattoliche e non, dell’Orissa. Il network comprende congregazioni religiose, organizzazioni non governative, gruppi di auto-aiuto, team diocesani di assistenza sociale, studenti. Guidata dal padre cappuccino, Nithiya Sagayam, segretario dell’ufficio per lo sviluppo umano nella Federazione delle conferenze episcopali dell’Asia, la rete ha individuato due principali emergenze che si registrano nella società dell’Orissa, Stato dell’India orientale, teatro dei massacri anticristiani avvenuti nel 2008. La prima è la tratta di esseri umani, che colpisce soprattutto donne e bambini. La seconda riguarda l’insicurezza alimentare, con la maggioranza delle famiglie che non hanno nemmeno la certezza del sostentamento minimo quotidiano, necessario alla sopravvivenza. Tra le congregazioni cattoliche particolarmente impegnate nel progetto figurano i cappuccini, i verbiti, le clarisse francescane e le suore dello Spirito Santo. "L’opzione per poveri", sottolinea padre Sagayam, rappresenta il "tema speciale per le comunità che in Orissa vivono l’Anno di fede". In Orissa i poveri sono soprattutto i tribali, i dalit, gli abitanti delle aree rurali e degli slum. "Una delle forme moderne di schiavitù, cioè la tratta di esseri umani - afferma la rete in un comunicato - sta uccidendo il tessuto della società in Orissa e distruggendo lo sviluppo economico, sociale e culturale del popolo". Sono drammaticamente diffusi la vendita di bambini, il lavoro e la prostituzione minorile, il lavoro forzato, la tratta di persone e il traffico internazionale di organi. I trafficanti reclutano, trasferiscono e trattengono le persone tramite minacce, ricatti, rapimento, inganno, abuso di potere o approfittando della vulnerabilità della popolazione. "Per rispondere con efficacia a queste sconvolgenti e aperte violazioni dei diritti umani - ha spiegato ancora padre Sagayam - abbiamo bisogno sempre di più di costruire un movimento, attraverso una fitta rete di funzionari governativi, avvocati, funzionari di polizia, leader religiosi, animatori sociali, insegnanti". Nello specifico, come riferisce l’agenzia Fides, la rete delle organizzazioni ha preparato un testo contenente "i 'dieci comandamenti' contro il traffico di esseri umani", da diffondere capillarmente, attraverso un volantino, nei villaggi rurali, istituzioni, parrocchie, templi, scuole e altri luoghi pubblici. Un documento, da consegnare ai capi dei villaggi e alla gente comune, che intende essere una guida utile a proteggere tutte le potenziali vittime della tratta. Uno speciale rapporto sul problema sarà anche inviato nei prossimi mesi alle autorità politiche e giudiziarie, proponendo così un piano di azione concreto e preciso. Oltre a ciò, il network ha anche avviato numerose iniziative di assistenza, cooperazione e formazione per garantire la sicurezza alimentare alla popolazione dell’Orissa. "Non ci può essere pace senza giustizia e sviluppo", ha ricordato solo pochi giorni fa, in occasione della festa della Repubblica (26 gennaio), il cardinale arcivescovo di Ranchi, Telesfphore Placidus Toppo. Il porporato, il primo cardinale di origine tribale, ha sottolineato l’importanza della nuova evangelizzazione per rispondere ai problemi dell’India: violenza, corruzione, fame e malnutrizione. E citando Papa Paolo VI ha ribadito ancora una volta che "lo sviluppo è un altro nome della pace". Essa, infatti, "è il presupposto per lo sviluppo, i diritti umani e la giustizia, soprattutto di fronte alla crescente emarginazione delle fasce sociali più deboli, come i tribali, le donne e i dalit". L’arcivescovo di Cuttak-Bhubaneswar, mons. John Barwa, anche lui di origine tribale, ha sottolineato come la Chiesa in Orissa sia impegnata nel raggiungere chiunque, senza distinzioni di casta o di fede, ed è grazie a questo che le vittime dei pogrom non hanno perso la fede in Dio. "Anche se l’Orissa è lo Stato più povero e illetterato dell’India - ha concluso - siamo ricchi nella nostra fede in Dio. Sono orgoglioso di poterlo dire. Sto visitando i diversi angoli della mia arcidiocesi e vedo manifestarsi il potere della fede. La voce della nostra gente dice: 'Abbiamo perso case, proprietà, persone care, ma non abbiamo perso la nostra fede'".

L'Osservatore Romano

Nuovo tweet di Benedetto XVI: ogni essere umano è amato da Dio Padre. Nessuno si senta dimenticato, perché il nome di ciascuno è scritto nel Cuore del Signore

“Ogni essere umano è amato da Dio Padre. Nessuno si senta dimenticato, perché il nome di ciascuno è scritto nel Cuore del Signore”. È il tweet lanciato oggi da Benedetto XVI sul suo profilo @Pontifex, al termine dell’Udienza generale, la seconda dedicata al “Credo”, e in particolare alla prima definizione di Dio, come “Dio Padre”. L’account Twitter del Papa, in un mese, si avvia nelle 9 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, portoghese, polacco, arabo e latino) ai 3 milioni di followers.

SIR

Consegnato al Papa il volume in tedesco degli atti del Simposio internazionale 'Verso la guarigione e il rinnovamento', svoltosi un anno fa alla Gregoriana sugli abusi compiuti su minori da esponenti del clero

Benedetto XVI, al termine dell'Udienza generale, ha salutato il padre gesuita Hans Zollner, direttore del Centro per la protezione dei minori e preside dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana. Il sacerdote ha consegnato al Papa il volume in tedesco degli atti del Simposio internazionale svoltosi un anno fa alla Gregoriana sulla questione degli abusi compiuti su minori da esponenti del clero e intitolato “Verso la guarigione e il rinnovamento”. All’incontro col Papa era presente anche il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Il prossimo 5 febbraio si terrà nel pomeriggio, sempre presso l’Università Pontificia, un nuovo incontro per presentare gli atti del Simposio di un anno fa, nonché le attività del Centro per la protezione dei minori e del Programma di E-learning, una piattaforma di apprendimento basata su internet per favorire una maggiore consapevolezza riguardo la realtà degli abusi nella Chiesa e nella società, l’aiuto appropriato per le vittime, la conoscenza delle misure canoniche previste e la creazione di un clima di ascolto e di sensibilità nei confronti dei minori e dei più deboli.

Radio Vaticana

Benedetto XVI: giovani, guardate a San Giovanni Bosco come a un autentico maestro di vita. Viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l'allestimento del presepe in Piazza San Pietro

“Guardate a lui come a un autentico maestro di vita”. A indicare ai giovani l’esempio di San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, è stato oggi il Papa, nel triplice saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, che come di consueto conclude l’appuntamento del mercoledì con i fedeli, a cui oggi hanno partecipato nell'Aula Paolo VI circa 5.000 persone. Dopo aver salutato, in lingua italiana, i vescovi amici del Movimento dei Focolari e i fedeli dell’arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, accompagnati dal loro vescovo Agostino Superbo, ha raccomandato di “dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita della fede”. La presenza delle autorità civili della Basilicata ha offerto, infine, l’occasione a Benedetto XVI di esprimere la sua “viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepe, collocato in questa piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, quale espressione dell’arte lucana”. Il Papa ha salutato il presidente della Lazio Claudio Lotito a conclusione dell'Udienza generale. Lotito, accompagnato da alcuni dirigenti del club sportivo, ha regalato a Benedetto XVI una maglia bianco-azzurra numero 1 con la scritta 'Ratzinger'.

SIR, TMNews

Il Papa: la vera, autentica e perfetta potenza divina, rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio, la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita

Udienza generale questa mattina nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa ha continuato il ciclo dedicato all’Anno della fede. “Non è sempre facile oggi parlare di paternità” ha detto il Pontedice, soffermandosi sull’affermazione “Dio è il Padre”, contenuta nel Credo. “Le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano”: sono questi, per Benedetto XVI, “alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli”. Così, “la comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento”. “Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario e inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente - ha ammesso il Papa - non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia”. Ma la rivelazione biblica “aiuta a superare queste difficoltà”, e “soprattutto il Vangelo” ci rivela il volto di Dio “come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità”. “L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino al sacrificio del Figlio”. A ribadirlo è stato il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi si è soffermato sulla “paternità” di Dio. “La fede - ha spiegato - ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita”. Dio, infatti, “è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità”. La fede in Dio Padre “chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino”. La paternità di Dio, allora, è “amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto”. Per il Papa, “è proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci. E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio”. “Come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo?”, la domanda da cui è partito Benedetto XVI per spiegare il senso dell’espressione “Dio onnipotente”. Al contrario, “noi vorremmo un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio onnipotente che risolva i problemi, che intervenga per evitarci ogni difficoltà, che vinca tutte le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore”. “Oggi – ha commentato il Papa – diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo". Così, “davanti al male e alla sofferenza, per molti diventa problematico credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza magica e nelle sue illusorie promesse”. “Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti”, ha affermato il Papa, ricordando che “le vie e i pensieri di Dio sono diversi dai nostri e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna”. Come Padre, Dio desidera, infatti, “che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio”. La sua onnipotenza si esprime dunque “nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore”. “Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole, solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore”, ha spiegato il Papa, e Dio “rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli”. “L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti”, tanto che “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”, come si legge nella Lettera ai Romani. “L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo l’onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori”. La “vera, autentica e perfetta potenza divina”, per il Papa, consiste nel “rispondere al male con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, allora la morte è definitivamente sconfitta”.

SIR, Radio Vaticana

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa
 

Ieri a Gerusalemme riunione delle delegazioni di Israele e Santa Sede nel quadro del negoziato sulle questioni economiche e fiscali che riguardano la Chiesa Cattolica in Terra Santa: incontro serio e costruttivo, progressi significativi

Israele e Santa Sede hanno avuto ieri a Gerusalemme un incontro ''serio e costruttivo'' nel quadro del negoziato sulle questioni economiche e fiscali che riguardano la Chiesa Cattolica in Terra Santa. Un comunicato congiunto della Commissione bilaterale permanente di lavoro ''ha preso atto del fatto che sono stati compiuti progressi significativi e auspica una rapida conclusione dell'accordo”. La delegazione della Santa Sede, guidata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Ettore Balestrero, ha ringraziato il viceministro degli Esteri israeliano Ayalon per il suo contributo ai colloqui. I negoziati sono relativi all’articolo 10 paragrafo 2 dell’Accordo fondamentale firmato tra Israele e Santa Sede nel 1993. Le parti hanno concordato di rivedersi in riunione plenaria il prossimo giugno in Vaticano. "Sono stati fatti dei progressi significativi su molti punti dell'Accordo fondamentale fra Santa Sede e Stato di Israele soprattutto su quelli già discussi nei passati incontri. Anche se alcune questioni rimangono irrisolte, da entrambe le parti vi è la volontà di andare avanti per colmare queste divergenze, che saranno oggetto della prossima riunione della Commissione". E' quanto afferma ad AsiaNews Zion Evrony, ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. Egli conferma i contenuti del comunicato congiunto diffuso da Vaticano e Stato di Israele. "Vi sono molte ragioni per essere ottimisti - continua il diplomatico - perché abbiamo constatato che i divari possono essere superati". Evrony sottolinea che finora "non vi sono ancora dati precisi sulle tempistiche per una risoluzione definitiva dell'accordo". L'ambasciatore racconta che "l'incontro è avvenuto in un'atmosfera cordiale e di grande collaborazione. Esso ha confermato sensibili miglioramenti nelle relazioni fra Vaticano e Israele. I rapporti sono buoni e caratterizzati dalla mutua fiducia".

Radio Vaticana, AsiaNews

JOINT COMMUNIQUÉ OF THE BILATERAL PERMANENT WORKING COMMISSION BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF ISRAEL (29 JANUARY 2013)

Anno della fede. 'Porta Fidei', la prima applicazione per smartphone e tablet del portale 'Aleteia': copertura in tempo reale degli avvenimenti e discorsi papali e le catechesi di Benedetto XVI

Adesso "Aleteia" (www.aleteia.org), aggregatore di siti cattolici, ha la sua prima applicazione per smartphone e tablet: si chiama “Porta fidei”, offre copertura in tempo reale degli avvenimenti e discorsi papali, raccoglie le catechesi sia di Benedetto XVI sia di Giovanni Paolo II, audio scaricabili e ascoltabili e, ogni sera prima della mezzanotte, propone un pensiero di spiritualità. L'iniziativa è stata presentata da don Paolo Padrini, direttore per la ricerca, la strategia e lo sviluppo di "Aleteia", e da Andrea Salvati, ex manager di Google da alcuni mesi direttore generale dell’aggregatore di siti nato con il supporto dei Pontifici Consigli per le Comunicazioni Sociali e per la promozione della Nuova evangelizzazione. "Aleteia" oggi è un portale web in cinque lingue, italiano, inglese, francese, spagnolo e portoghese, e passerà presto a dieci, cominciando con tedesco e polacco. “Porta Fidei”, che si basa sulla collaborazione con Google Enterprise e adotta la tecnologia Google Search Appliance, vuole rafforzare il web listening sui supporti mobili. “Sul web c’è un’utenza che dialoga e fa domande” ha ricordato Salvati, mentre Jesus Colina, direttore editoriale di "Aleteia", ha commentato: “Il web listening diventa un’opportunità che prima era impossibile immaginare”. Contestualmente al debutto di “Porta Fidei”, è stata presentata anche una ricerca sui contenuti più “dialogati” attraverso "Aleteia", monitorati attraverso quattro aree geolinguistiche: anglofona, con particolare attenzione agli Stati Uniti, francofona con particolare attenzione alla Francia, ispanico-latina con particolare attenzione al Messico, e infine italiana. “Dove, quanto e quando si parla di argomenti in ottica religiosa?” e “Di cosa si parla nell'ambito di menzioni e discussioni etico-religiose?” sono i quesiti dai quale parte la ricerca, che vuole essere uno strumento per il dialogo tra Chiesa e nuove tecnologie. "Aleteia" ha cosi rilevato che il 71% delle menzioni di carattere etico-religioso proviene dagli Stati Uniti, e il 46% proviene dai social network. Inoltre i tre macro-temi più affrontati e discussi sono fede, famiglia e bioetica. Per l'area anglofona il 21% parla di fede, il 19% di famiglia e il 18% di bioetica. Per l’area francofona il 23% parla di bioetica, il 21% di famiglia e il 15% di fede. Per l'area ispanicolatina il 61% parla di famiglia, il 16% di fede e il 9% di bioetica. Per l'Italia, il 35% parla di fede, il 24% di famiglia e il 19% di bioetica.

Corriere delle Comunicazioni.it

Pasqua 2013. Padre Toufic Bou Hadir: felici dell’attenzione che il Papa riserva al Libano e al Medio Oriente, l'invito a redigere i testi per la Via Crucis al Colosseo ci rende orgogliosi e riconoscenti e ci conferma nell’impegno di testimoniare l’amore di Cristo

“Ci sentiamo nel cuore della Chiesa. Le sofferenze della nostra terra e dei popoli del Medio Oriente saranno al centro delle meditazioni. Siamo felici dell’attenzione che il Pontefice riserva al Libano e a tutto il Medio Oriente. Il suo invito a redigere i testi per la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo ci rende orgogliosi e riconoscenti e ci conferma nell’impegno di testimoniare l’amore di Cristo”. Con queste parole padre Toufic Bou Hadir, coordinatore dell’Ufficio patriarcale per i giovani maroniti, commenta all'agenzia SIR la notizia che saranno proprio i giovani libanesi a scrivere i testi della Via Crucis al Colosseo guidata da Benedetto XVI il prossimo Venerdì Santo. “Ci stiamo già preparando, così come avvenne per l’incontro con il Papa il 15 settembre 2012 a Bkerké, nella preghiera e nello studio delle Scritture - dice il sacerdote - accogliamo come un frutto di quell’incontro questa richiesta e sotto la guida del nostro patriarca, il card. Béchara Boutros Raï, ci apprestiamo a iniziare il cammino. Sentiamo su di noi la responsabilità di questo incarico ma siamo memori delle parole del Papa che quel giorno ci invitarono a non avere paura ad aprirci a Cristo perché in lui si trovano la forza e il coraggio per avanzare sulle strade della vita, superando le difficoltà e la sofferenza”. “Nel meditare sui dolori della nostra terra e dei popoli che la abitano - conclude padre Bou Hadir - non possiamo non pensare al luogo della Via Crucis, quel Colosseo che ha visto morire martiri moltissimi cristiani, denigrati, perseguitati, come sta accadendo ancora oggi in molte parti del mondo”.

SIR

Vian: Vaticano, finanze e fascismo, il tutto naturalmente condito dal segreto, gli ingredienti appetitosi del presunto scoop di 'The Guardian', che non meritava davvero alcuna attenzione

"Vaticano, finanze e fascismo, il tutto naturalmente condito dal segreto: ecco gli ingredienti appetitosi di un presunto scoop su The Guardian, l'autorevole quotidiano londinese dove è stato pubblicato un articolo variamente ripreso dai media, ma che non meritava davvero alcuna attenzione". Così L'Osservatore Romano in un corsivo intitolato "Non si deve maltrattare la storia" e siglato dal direttore Giovanni Maria Vian commenta l'articolo recentemente uscito sul giornale britannico in merito a immobili che la Santa Sede possiede in Ighilterra, Svizzera e Francia. "Si tratta - scrive il quotidiano vaticano - di un complesso di notizie imprecise o infondate, messe assieme in modo maldestro e prevenuto per sostenere che il Vaticano avrebbe costruito un impero immobiliare internazionale grazie ai 'milioni di Mussolini', una fortuna che sarebbe stata ottenuta in cambio del riconoscimento del regime da parte della Santa Sede nel 1929 e sulla quale graverebbe una coltre di segretezza. A completamento del quadro disegnato dall'articolo, documenti britannici del tempo di guerra non specificati attesterebbero attività contrarie agli interessi degli Alleati da parte di una società controllata dal Vaticano. Basta una lettura anche sommaria dell'articolo - scrive Vian - per liquidarlo come inconsistente, ma purtroppo la sua risonanza ha danneggiato, oltre moltissimi lettori, la più elementare verità storica". Sarebbe bastato "davvero molto poco", scrive il direttore del quotidiano vaticano, "per ricordare che tra i patti del Laterano, i quali appunto nel 1929 chiusero la 'questione romana', vi era una convenzione finanziaria. E che secondo questo accordo l'Italia indennizzava definitivamente la Santa Sede con 750 milioni di lire in contanti e con un miliardo in titoli (equivalenti complessivamente a un miliardo e 200 milioni di euro circa): somma 'di molto inferiore specificava il testo firmato dalle due parti a quella che a tutt'oggi lo Stato avrebbe dovuto sborsare alla Santa Sede' in esecuzione della legge italiana delle Guarentigie, che era stata approvata unilateralmente nel 1871 ma che sempre era stata respinta dalla controparte. Non furono, dunque, gli accordi del Laterano un patto vergognoso tra Chiesa Cattolica e fascismo, ma al contrario una soluzione necessaria ed equilibrata. Fu chiusa infatti, dopo oltre un sessantennio, una lacerazione dolorosa nel Paese. Tanto che a larghissima maggioranza i Patti furono inseriti nella Costituzione della Repubblica italiana nel 1947. Con valutazioni complessivamente positive da parte di storici di diverse tendenze e, in tempi diversi, da moltissime voci, tra cui quelle di esponenti politici come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti". "Quanto infine a presunte attività contrarie agli Alleati da parte della Santa Sede - prosegue Giovanni Maria Vian - proprio nel numero di dicembre della rivista trimestrale 'he Historical Journal edita dall'università di Cambridge, la storica Patricia M. McGoldrick della Middlesex University di Londra pubblica un lungo e dettagliato studio sulle attività finanziarie vaticane durante la seconda guerra mondiale", di cui il quotidiano della Santa Sede riporta una sintesi. "Basato su alcune serie di documenti dei National Archives britannici di recente rese accessibili, l'articolo a conferma di quanto viene emergendo dalla ricerca storica dimostra esattamente il contrario di quanto è affermato con superficiale leggerezza nell'articolo pubblicato su The Guardian. E cioè che, anche con legittimi investimenti in tempo di guerra compiuti soprattutto negli Stati Uniti, la Santa Sede sostenne gli Alleati contro il nazionalsocialismo".
 
TMNews
 

'L'Osservatore Romano': il Vaticano spostò rapidamente i suoi titoli e le sue riserve auree dalle zone minacciate dall’occupazione nazista verso gli Stati Uniti per combattere quella follia e alleviare le ferite dell’Europa

“La Santa Sede usò lo strumento finanziario per combattere la follia nazista e alleviare le ferite dell’Europa”. A dimostrarlo è Patricia M. McGoldrick, in un articolo pubblicato su The Historical Journal, la rivista dell’Università di Cambridge, e recensito da Luca M. Possati su L’Osservatore Romano. Dall’articolo in questione, spiega Possati, “apprendiamo che all’inizio della seconda guerra mondiale il Vaticano spostò rapidamente i suoi titoli e le sue riserve auree dalle zone minacciate dall’occupazione nazista verso gli Stati Uniti”. Al centro della storia raccontata dall’autrice c’è Bernardino Nogara, membro della direzione della Banca commerciale italiana e amico della famiglia Ratti, che nel 1929 viene chiamato alla guida delle finanze della Santa Sede. “Sarà lui, diretto dai vertici della Curia - osserva Possati - il protagonista della strategia finanziaria del Vaticano che durante la seconda guerra mondiale diede un apporto fondamentale alla vittoria degli Alleati contro il nemico nazifascista. Una strategia fatta di milioni di dollari investiti nelle maggiori banche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, con i quali sono state aiutate Chiese perseguitate e popolazioni stremate”.
 
SIR
 

Un nuovo clero per la Chiesa di domani: parola ed opera di Benedetto XVI. Con il Motu Proprio 'Ministrorum institutio' è ufficiale, si sono accorti che la situazione dei sacerdoti oggi, anche in Italia, è troppo spesso inaccettabile

La notizia è passata in sordina: il Papa ha operato una riforma della Curia decisamente importante. Da un lato, con il Motu Proprio "Fides per doctrinam" , la Congregazione per il Clero perde la competenza sulla catechesi che va al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ma soprattutto dall'altro, ed è qui che vogliamo concentrarci, con il Motu Proprio "Ministrorum institutio" , alla Congregazione per il Clero arriva "la promozione e il governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei presbiteri e dei diaconi: dalla pastorale vocazionale e la selezione dei candidati ai sacri Ordini, inclusa la loro formazione umana, spirituale, dottrinale e pastorale nei Seminari e negli appositi centri per i diaconi permanenti". E quindi che significa? Nel corso di un intervista rilasciata a L'Osservatore Romano, il card. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, ha precisato che si tratta di "un importante segnale della grande attenzione del Papa per i suoi sacerdoti, per la loro formazione e per quella, che, da più parti auspicata, dovrà essere un'autentica e profonda riforma del Clero". E ancora: "Certamente, poi, da più parti, appare urgente un innalzamento del tono spirituale, e perciò anche umano e culturale, dei sacerdoti". Ricorda infatti Piacenza: "In uno degli interventi del recente Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, un giovane laico catechista chiedeva ai Padri, a nome dei suoi coetanei e, in certo modo, del popolo di Dio, sacerdoti 'di qualità', dall'alto profilo culturale e spirituale, capaci di avvicinare a Cristo con la propria parola e la propria vita, e di celebrare il culto, lasciando trasparire, per pienezza interiore, la sacralità del mistero. Ritengo particolarmente interessante che, dal mondo laicale e giovanile, siano giunte ai padri sinodali tali richieste". "Un'autentica e profonda riforma del clero". Un urgente "innalzamento del tono spirituale, e perciò anche umano e culturale, dei sacerdoti". Sentire utilizzare queste espressioni da quello che potrebbe essere considerato oggi uno dei più potenti porporati del mondo fa ben sperare anche chi, come il sottoscritto, si è divertito a trovare la forza nei Santi per elaborare una sorta di contemporaneo anticlericalismo cattolico. Con questo atto è ufficiale: se ne sono accorti anche i vertici. Si sono accorti che la situazione del clero oggi in Italia è troppo spesso inaccettabile. Chiunque abbia avuto a che fare con dei preti avrà qualcosa da raccontare. Di certo ci sono tanti preti bravi, buoni, santi ed efficaci. Ma poi c'è il prete che predica la castità e va con i ragazzi, magari con la silente complicità del vescovo; c'è il prete che predica la povertà e gestisce un impero immobiliare; c'è il prete che predica l'obbedienza e dal pulpito se la prende con il Papa. C'è il prete che scrive una poesia erotica sul settimanale diocesano e non ha tempo di dire la Messa perché è troppo impegnato; c'è quello che ci prova impunemente con tutti, che siano gay o etero, perché tanto "a chi crederanno, a me in tonaca o a te vestito di stracci?"; c'è il frate che gira da una vita per le province dell'Ordine, perché prima o poi gli trovano le mani addosso a un ragazzo; c'è il monsignore che racconta a tutti di essere capoufficio in Vaticano, e si scopre che fa il galoppino; c'è quello che vive a Roma perché dice di insegnare all'università pontificia, dove invece manco sanno chi sia. C'è il prete che non sa neanche cosa sia internet, e quello che passa tutto il giorno su Facebook; c'è quello che celebra la Messa come fosse a un raduno hippy, e quello che si rifiuta di dare la comunione in bocca "perché da Pasteur in poi la Chiesa dà la Comunione solo sulla mano". E poi c'è tutto il problema dell'ignoranza del clero, quella denunciata dal Beato Antonio Rosmini, insieme alle altre quattro piaghe, oramai 150 anni fa. Condizione particolarmente grave, perché l'ignoranza si autoalimenta in una corsa al ribasso: "Tali ministri di cuore tormentato" scrive il Beato Rosmini, "di mente gretta, sono poi quelli che, fatti adulti, sacerdoti e capi delle chiese, educano altri sacerdoti che riescono anche più fiacchi e più meschini di essi: e questi si fanno padri e istitutori ad altri decrescenti necessariamente di età in età, perché "Un discepolo non è da più del maestro". Il guaio più grande poi è quando per una distrazione dello Spirito Santo uno di questi diventa vescovo. Ma ci fermiamo qui. A tutto questo il Papa e la Curia romana con queste nuove disposizioni sembrano voler dire basta. E con ogni augurio speriamo tutti che siano quanto più efficaci possibili nel loro intento.

Paolo Gambi, L'Huffington Post

I misteri della vicenda Deutsche Bank-Vaticano: da un mese la Banca d’Italia ha bloccato tutti i pagamenti elettronici attraverso i Pos e attraverso il circuito mondiale delle carte di credito nello Stato della Santa Sede

E’ passato quasi un mese da quando, all’inizio di gennaio, la Banca d’Italia ha bloccato tutti i pagamenti elettronici attraverso i Pos e attraverso il circuito mondiale delle carte di credito in Vaticano. I turisti e non, quindi, che si sono recati questo mese a visitare i Musei Vaticani (circa cinque milioni di visitatori all’anno), ad acquistare particolari medicinali presso la farmacia interna al Vaticano (alla quale si accede solo muniti di apposita ricetta e documento) o a comprare l’ultimo libro di Papa Benedetto XVI presso la Libreria Editrice Vaticana sono stati costretti a usare i contanti (a meno che non si trattasse di quei pochi “fortunati” possessori di bancomat emessi dallo Ior). E sembra che, ad oggi, la situazione non sia migliorata. Basta, infatti, collegarsi al sito internet dei Musei Vaticani o entrare nella libreria Giovanni Paolo II per leggere il seguente messaggio: “Si informa che dal 1° gennaio 2013 non è possibile effettuare pagamenti tramite bancomat o carta di credito. Ci scusiamo per il disagio”. Ma cosa è successo veramente? Il Vaticano si trova dinanzi all’ennesima controversia finanziaria con lo Stato italiano? La Deutsche Bank Italia gestisce, dal 1997, il sistema dei bancomat e delle carte di credito all’interno della Città del Vaticano. Si tratta, però, a tutti gli effetti, di un soggetto di diritto italiano e, proprio per questo motivo, il suo operato è sottoposto alla rigida vigilanza della Banca d’Italia. E quando la Deutsche Bank parecchi anni fa ha aperto i vari Pos degli esercizi commerciali vaticani, pensando molto probabilmente di operare sulla base delle leggi vaticane, lo ha fatto senza chiedere alcuna autorizzazione agli uffici di Via Nazionale. Solo nel corso dello scorso anno i vertici della Deutsche Bank hanno presentato una sorta di richiesta di “sanatoria”, respinta però dalla Banca d’Italia. Il Vaticano, infatti, ai fini della normativa antiriciclaggio appartiene alla categoria dei Paesi extracomunitari “non equivalenti”. Tanto significative, quando “pesanti”, le parole contenute in una nota emessa direttamente dalla Banca d’Italia per cercare di fare chiarezza sulla vicenda: “Nella Città del Vaticano mancano sia una regolamentazione bancaria sia il riconoscimento europeo di equivalenza antiriciclaggio. Non vi è stata alcuna scelta discrezionale né tanto meno una discriminazione: qualunque altra Autorità di vigilanza europea si sarebbe comportata nello stesso modo, in ossequio alla legge comunitaria”. E’ la stessa Banca d’Italia a dirlo, in maniera chiara e senza troppi giri di parole. Il timore, infatti, è che i soldi acquisiti tramite i pagamenti elettronici vengano utilizzati per operazioni di riciclaggio. Prove, ovviamente, non ce ne sono. Ma sospetti e timori si. L’istituto centrale governato da Ignazio Visco, infatti, ha chiarito come tutti i soldi che vengono acquisiti attraverso i Pos dei circa ottanta “punti vendita” del Vaticano confluiscano su un unico conto intestato allo Ior e aperto, appunto, presso una filiale della Deutsche Bank. E qui iniziano i problemi (e i sospetti). E’ impossibile, infatti, conoscere l’intestatario effettivo del deposito aperto presso la Deutsche Bank così come è impossibile sapere chi abbia la delega a operare. E come evidenziato da molti quotidiani, sembra che nell’ultimo anno siano transitati più di 40 milioni di euro su quel conto. La decisione di congelare i pagamenti elettronici in Vaticano non ha certo colto di sorpresa le gerarchie. Sorpresa, e sgomento, ha invece provocato presso i vari rivenditori, i quali lamentano perdite per addirittura circa trenta mila euro al giorno. Una decisione, quella di Via Nazionale, non particolarmente gradita a René Bruelhart, lo svizzero che da novembre 2012 guida l’Autorità d’informazione finanziaria del Vaticano. In un’intervista al Corriere della Sera, infatti, ha manifestato tutta la sua sorpresa chiarendo come il Vaticano, a luglio, abbia superato “il terzo round di valutazione del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, con una buona pagella di nove raccomandazioni cruciali superate su sedici”. Bruelhart ha poi ricordato come il Vaticano, in seguito all’esito positivo del rapporto, non sia stato sottoposto ad alcuna procedura o misura speciale di monitoraggio antiriciclaggio da parte di alcun organismo internazionale. Che la situazione sia grave, dal momento che, come evidenziato da numerosi esperti, il blocco dei pagamenti avviene solamente in situazioni sospette, come possibili operazioni di riciclaggio, e non rientra nell’ordinaria amministrazione, nessuno vuole negarlo. Così come nessuno è in grado di dire quando verrà risolto questo problema, tanto che padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha ammesso che “sono in corso contatti con diversi provider e fornitori di servizi”. Si va verso, dunque, una nuova controversia finanziaria con lo Stato italiano? Di ciò non è per nulla convinto il vaticanista Andrea Gagliarducci, il quale in un articolo pubblicato sul suo blog MondayVatican, ha affermato che “al contrario, le recenti modifiche apportate alla legge antiriciclaggio rappresentano un ulteriore passo avanti della Santa Sede verso la piena trasparenza finanziaria in vista dell’inclusione dell’Autorità d’informazione finanziaria all’interno dell’Egmont Group, il network globale delle unità di intelligence finanziaria”.

Fabrizio Anselmo, Formiche

martedì 29 gennaio 2013

Iniziato a Roma il Sinodo della Chiesa caldea che deve eleggere il nuovo Patriarca. Card. Sandri: dall’elezione deriva il futuro stesso della vostra Chiesa. Cresce il peso dei vescovi della diaspora

Le votazioni avranno inizio domani, ma il Sinodo della Chiesa patriarcale di Babilonia dei Caldei, convocato da Benedetto XVI per l’elezione del nuovo patriarca, è stato aperto ufficialmente ieri a Roma, nella casa per esercizi spirituali dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, gestita dai passionisti. A presiedere il Sinodo, al quale partecipano 15 vescovi caldei, sette provenienti dall’Iraq, due dall’Iran, due dagli Usa, e uno rispettivamente da Libano, Siria, Australia e Canada, è il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che ieri mattina ha aperto i lavori richiamando gli elettori alle loro responsabilità. "In questo atto elettivo – ha detto Sandri – di suprema importanza davanti a Dio davanti alla Chiesa e a tutti i fedeli", ciascuno di voi "è corresponsabile di ciò che dall’elezione patriarcale deriva, specialmente nel delicato momento storico: il futuro stesso della Chiesa caldea e della sua tradizione e patrimonio, la comprensione dei tempi e delle situazioni ecclesiali, storiche e sociali, l'elaborazione degli orientamenti pastorali e le loro stesse applicazioni". "È la Chiesa caldea – ha continuato il cardinale – che vi invita a compiere i sacrifici necessari con gli occhi illuminati dalla fede e lasciati da parte tutti gli interessi personali a vantaggio della vostra Chiesa e di quella universale. Sia la luce dello Spirito a guidarvi nell’elezione del nuovo 'Pater et Caput' con la consapevolezza che quanto vi unisce dal punto di vista spirituale, sacramentale e pastorale è di gran lunga superiore a quanto potrebbe separarvi vicendevolmente affinché l’unità che ci rinsalda si esprima in questa elezione con tutto il suo vigore ed efficacia". Parole che lasciano intendere l’esistenza di visioni diverse all’interno del Sinodo. Sandri ha concluso il suo discorso ricordando ai vescovi caldei l’importanza della "libertà di elezione", cioè l’assenza di condizionamenti e patteggiamenti; del voto "emesso di fronte a Dio, e senza subordinarlo ad altri interessi»; della necessità di assegnare la preferenza «al miglior candidato per dignità e idoneità, senza alcun altro pensiero che la gloria di Dio ed il bene della Chiesa". Nell’agenda del Sinodo della Chiesa caldea convocato a Roma per eleggere il nuovo Patriarca, la giornata di oggi è riservata al confronto tra i vescovi sulla condizione e sui problemi vissuti dalle comunità caldee nel territorio patriarcale e nella diaspora. Per essere eletto, il nuovo Patriarca dovrà raccogliere i due terzi dei quindici voti disponibili. Ma all’appuntamento, l’episcopato caldeo si presenta diviso. Sono sotto gli occhi di tutti i colpi e il declino subiti dopo l’operazione "Iraqi Freedom" da quella che fino ad allora era una comunità cattolica autoctona tra le più tenacemente radicate nell’area mediorientale. Ma nella partita per l’elezione del nuovo Patriarca si fronteggiano prospettive diverse su come affrontare l’emergenza e garantire continuità a quella Chiesa cattolica sui iuris. Nello scenario iracheno messo a dura prova dai revanscismi etnico-religiosi, anche in seno alla compagine caldea ha guadagnato terreno negli ultimi anni l’opzione identitaria. Se sotto il regime baathista i capi caldei teorizzavano l’assimilazione culturale e politica dei cristiani al milieu arabo, nel confuso dopoguerra alcuni di loro si sono posti come leader di una minoranza etnico-nazionale in lotta per la salvaguardia dei propri diritti sociali, politici e culturali. L’ambiente favorevole a questa nuova sensibilità identitaria è stata la diaspora caldea radicatasi negli Stati Uniti, con la sua galassia di circoli, movimenti e sigle politiche. A livello ecclesiale, gli alfieri della riscoperta identità etnica e dei suoi correlati rituali e liturgici sono i due vescovi caldei insediati negli Usa: il 75enne Ibrahim Ibrahim, residente a Southfield (Michigan) e il 71enne Sahrad Jammo, residente a San Diego (California). Soprattutto il primo, nonostante l’età (a 75 anni i vescovi sono tenuti a rinunciare al proprio governo episcopale) è entrato come “papabile” nel Sinodo elettorale di questi giorni. Nato nel villaggio di Telkaif, come il patriarca dimesso Emmanuel III Delly e almeno altri due vescovi elettori, prima di venire a Roma Ibrahim ha rilasciato al The Michigan Catholic, organo della diocesi di Detroit, un’intervista in cui esaltava la progressione esponenziale compiuta negli ultimi lustri dalla diaspora caldea in Usa, passata dai 20mila fedeli di 30 anni fa ai 220mila di oggi. L’elezione a patriarca di un vescovo insediato in Occidente confermerebbe l’immagine di una Chiesa caldea “a trazione americana”, che perde terreno nei territori tradizionali del suo insediamento (dove i fedeli, secondo le stime più pessimiste, sarebbero ormai poche centinaia di migliaia) e affida alle sensibilità identitarie delle comunità d’Oltreoceano la conservazione delle proprie peculiarità liturgiche, teologiche e culturali. In tempi recenti non sono mancate congetture su un possibile trasferimento in America del patriarcato caldeo, in maniera analoga a quanto già avvenuto alla Chiesa assira d’Oriente, il cui patriarca trasferì la sua residenza abituale negli Usa già negli anni Trenta del secolo scorso, dopo le stragi anti-assire consumate a quel tempo in territorio iracheno. Alla prospettiva identitaria e delocalizzata prevalente negli ambienti della diaspora si sottraggono diversi vescovi a capo di diocesi nel Kurdistan iracheno e in altre regioni mediorientali. Cinque di loro, compresi Rabban Al-Quas, Louis Sako e Mikha Pola Maqdassi, presenti al Sinodo elettivo in corso a Roma, nel giugno 2007 boicottarono clamorosamente un’assemblea sinodale per marcare la loro distanza dalla linea del patriarca Delly e denunciare la "condizione insana" e lo stato di abbandono pastorale in cui ai loro occhi versavano le comunità caldee. Tra le altre cose, i cinque vescovi del Nord Irak respingevano i ricorrenti progetti di creare un’area di autonomia amministrativa di “protezione” per i cristiani assiri e caldei, da dislocare nella piana di Ninive, a nord di Mosul. Di recente, l’arcivescovo di Kirkuk Louis Sako in un appello lanciato dall’agenzia Fides ha denunciato anche la "trappola del nazionalismo" che minaccia le antiche Chiese orientali d’origine apostolica, soprattutto quando sono indebolite dalle emorragie migratorie dirette verso i Paesi occidentali. Il vescovo siriano di Aleppo, Antoine Audo SJ, continua a essere un punto di riferimento per i vescovi più insofferenti della scarsa sensibilità ecclesiale che, a loro giudizio, ha connotato i vertici della Chiesa caldea negli ultimi anni. I detrattori del gesuita siriano continuano a contestargli una scarsa familiarità con la lingua caldea in uso nelle liturgie tradizionali. Mentre appaiono ormai evaporate le antiche, e infondate, accuse di coltivare simpatia per il regime baathista degli Assad. Un altro fattore con cui dovrà misurarsi il nuovo patriarca è l’aumento delle tensioni anche istituzionali che mettono in discussione la tenuta unitaria della stessa nazione irachena. Nelle aree del Kurdistan iracheno, che con la sua autonomia politico, amministrativa rappresenta la prima embrionale realizzazione delle aspirazioni nazionali curde, oggi sono concentrate la maggior parte delle diocesi caldee. Nelle strategie curde di lungo periodo sembra esserci anche un ruolo assegnato alle comunità cristiane in Irak, a giudicare dalle cospicue risorse dirottate qualche anno fa verso le Chiese dal governo regionale del Kurdistan per costruire parrocchie, sedi episcopali, scuole. Un “soccorso curdo” che alimenta aspirazioni di ritrovata grandezza. Nei mesi scorsi l’arcivescovo caldeo di Erbil Bashar Warda ha benedetto la prima pietra di una Università cattolica che dovrebbe essere ultimata nel sobborgo di Ankawa entro il 2015. Ad Ankawa è già dislocato il Babel College, la facoltà di teologia e filosofia che prima della guerra si trovava a Baghdad e che attualmente rappresenta l’unico centro cristiano di studi teologici di alto livello operante in Irak. Ma se i politici del Kurdistan iracheno puntano a guadagnare il sostegno delle minoranze cristiane alla causa indipendentista curda. anche questo scenario non è privo di controindicazioni per i caldei rimasti in Irak. Nel Paese sottoposto a forti spinte centrifughe, un patriarca sbilanciato in rapporti preferenziali con una sola componente del mosaico iracheno finirebbe per creare nuovi problemi all’intera comunità caldea. Davanti a un puzzle così complicato, in caso di stallo elettorale la Santa Sede, prima di avocare al Papa la nomina del successore di Delly, sarà chiamata a esercitare sul Sinodo caldeo una “moral suasion” a favore di un candidato in grado di raccogliere consensi dai diversi gruppi in competizione. Tenendo conto, come ha sottolineato il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni, che ogni vescovo caldeo è comunque degno di divenire patriarca della sua Chiesa.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

'Per molti' vince su 'per tutti': la nuova traduzione delle parole della consacrazione voluta da Benedetto XVI sta per arrivare anche in Italia, ma già sono state annunciate proteste e disobbedienze

Mentre si avvicina alla conclusione la "recognitio" vaticana della nuova versione italiana del Messale romano, la disputa sulla traduzione del "pro multis" nella formula della consacrazione eucaristica ha registrato nuove battute. L'ultima ha per autore il teologo e vescovo Bruno Forte. In un articolo su Avvenire del 19 gennaio 2013 Forte si è di nuovo schierato con decisione per tradurre "pro multis" con "per molti", invece che con "per tutti" come si fa da più di quarant'anni in Italia e come analogamente si è fatto in molti altri paesi. "Per molti" è la traduzione che lo stesso Benedetto XVI esige che venga adottata nelle varie lingue, come ha spiegato in una lettera ai vescovi tedeschi dell'aprile dl 2012. Da qualche tempo, in effetti, la traduzione "per molti" sta tornando in uso in varie lingue e paesi, sotto la spinta delle autorità vaticane e del Papa in persona. Ma si registrano anche delle resistenze. È stato segnalato, ad esempio, che a Londra, a Canterbury e in altre località inglesi vari sacerdoti modifichino intenzionalmente il "for many" della nuova versione inglese del Messale, approvata dal Vaticano, e dicano "for many and many". In Italia la nuova versione non è ancora entrata in vigore. Ma quando anche qui il "per molti" diventerà legge, come sicuramente avverrà, sono state già annunciate proteste e disobbedienze. Difendendo a spada tratta la versione "per molti" voluta dal Papa, il vescovo-teologo Forte si è consapevolmente contrapposto alla posizione largamente prevalente non solo tra i teologi e i liturgisti ma tra gli stessi vescovi italiani. Nel 2010, infatti, i vescovi italiani riuniti in Assemblea generale votarono quasi all'unanimità il mantenimento del "per tutti" nella formula della consacrazione. In quell'occasione, stando agli atti ufficiali della conferenza episcopale italiana, anche Forte si era pronunciato a favore del "per tutti". Ma ora egli spiega che quelle sue parole non esprimevano il suo vero pensiero. Forte ricorda che in un precedente incontro ristretto, col solo direttivo della CEI, aveva espresso la sua preferenza per il "per molti". E se poi, nell'Assemblea generale, era parso ripiegare sul mantenimento del "per tutti", era perché aveva messo in primo piano le "difficoltà pastorali" che un cambio di traduzione avrebbe prodotto, seminando nei fedeli il timore che la salvezza di Cristo non fosse offerta, appunto, "per tutti". Già membro della commissione teologica internazionale e ordinato vescovo nel 2004 dall'allora card. Joseph Ratzinger, Forte è oggi arcivescovo di Chieti-Vasto. Ma è indicato da anni come in corsa per sedi cardinalizie di alto livello: da ultimo a Palermo e Bologna, i cui attuali arcivescovi andranno in scadenza nel 2013. Non solo. Si vocifera anche di una sua chiamata a segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, in sostituzione dell'attuale titolare Luis Francisco Ladaria Ferrer, destinato a una grande diocesi di Spagna. E c'è chi collega queste attese di promozione all'insistenza con cui Forte difende il "per molti" voluto fermamente dal Papa. Ma tornando alla polemica sul "pro multis", nel suo articolo su Avvenire Forte si dice contrario anche alle traduzioni suggerite nei mesi scorsi da due biblisti e liturgisti italiani, Silvio Barbaglia e Francesco Pieri, ricalcate sulla versione "pour la multitude" in uso nella Chiesa di Francia: "per moltitudini immense" o "per una moltitudine". Gli argomenti di questi due studiosi, entrambi inizialmente favorevoli a mantenere la versione "per tutti", sono stati riassunti la scorsa estate da www.chiesa in un servizio che sottolineava il loro avvicinarsi alle posizioni di Benedetto XVI. Ma il secondo dei due, Francesco Pieri, sacerdote della diocesi di Bologna e docente di liturgia, di greco biblico e di storia della Chiesa antica, ha contestato tale interpretazione. Nega di volersi accostare alle posizioni del Papa. Continua a giudicare "cattiva" e "falsamente fedele" la versione "per molti". E spiega di aver proposto la versione "per una moltitudine" come unica alternativa accettabile all'ormai "irreversibile" abbandono del "per tutti" deciso dalle autorità vaticane. Anzi, nella seconda delle due note sul tema da lui pubblicate nel 2012 su Il Regno, Pieri si è spinto molto più in là. Ha scritto che gli studiosi ai quali Benedetto XVI ha fatto riferimento a proprio sostegno nella sua lettera ai vescovi tedeschi non solo sono "pochissimi" ma neppure sono affidabili: "Non sono esegeti di professione e per giunta risentono di una mentalità apertamente tradizionalista, pregiudizialmente assai critica nei confronti della riforma liturgica promossa dal Vaticano II". Ma soprattutto ha chiuso la nota con una esplicita minaccia di insubordinazione, condita da un sarcastico richiamo alla liberalizzazione del rito romano antico della Messa: "Stante la già annunciata tensione che deriverebbe dall’entrata in vigore della traduzione 'per molti', non è affatto remoto il rischio che non pochi celebranti ne aggirerebbero l’ostacolo con adattamenti oppure continuando ad attenersi alla formula precedente. Con quale credibilità, con quale speranza di accoglienza, si potrebbe allora invocare il principio dell’unità pastorale, proprio nella strana stagione ecclesiale che ha visto inopinatamente tornare in vigore una forma del rito romano già sostituita dalla sua riforma e perciò giuridicamente 'abrogata'? Oppure dovremo invocare un Motu Proprio che consenta di utilizzare un’ulteriore forma straordinaria del rito romano in favore di quanti, come il sottoscritto e una moltitudine di altri. ritengono di non poter accettare in coscienza la traduzione 'per molti'? Sarebbe quanto mai opportuno che fedeli e pastori della Chiesa italiana, non da ultimi i teologi e le persone di cultura, manifestassero con più franchezza, in tutte le sedi in grado di alimentare un dibattito pubblico quanto più ampio possibile, le loro riserve nei confronti di questa paventata scelta di traduzione". Curiosamente, quest'ultimo appello ai dissenzienti è diventato realtà proprio sulla stessa pagina di Avvenire, il giornale della conferenza episcopale italiana, nella quale Forte ha perorato la causa del "per molti". A fianco dell'articolo del vescovo-teologo c'era infatti un intervento di segno opposto a firma del teologo Severino Dianich, vicario episcopale della diocesi di Pisa per la pastorale della cultura e dell’università, che così terminava: "A questo punto mi domando se non sia giusto preoccu­parsi di una cosa sola, cioè del ri­scontro di un eventuale cambia­mento sui fedeli, soprattutto sui me­no dotti, sui più poveri, su coloro che accolgono le cose più con la sensibi­lità che attraverso il ragionamento, che inevitabilmente resterebbero turbati dal cambiamento. Se non è indispensabile, perché creare dei problemi? Diversi vescovi hanno col­to benissimo la questione pastorale, propo­nendo con buon senso che tutto resti come pri­ma e non si cambino le grandi parole, che da quarant’anni risuonano nelle nostre chiese, proclamando che il sangue di Cristo è stato ver­sato 'per tutti'".

Sandro Magister, www. chiesa

La salvezza di Cristo dono offerto a tutti

La traduzione del "pro multis". Il tema è la salvezza

"Pro multis". La traduzione del Papa guadagna consensi