sabato 5 gennaio 2013

Domani Benedetto XVI ordinerà vescovo il suo segretario particolare. Nello stemma episcopale di mons. Georg Gänswein la fedeltà al Papa, 'Rendere testimonianza alla verità' il motto

Sarà un futuro nel segno di Benedetto XVI, quello di Georg Gänswein? Sì, a giudicare dalla scelta dello stemma episcopale (foto) del segretario particolare di Sua Santità, che domani sarà ordinato vescovo. Lo stemma è diviso in due parti: sulla sinistra, la riproduzione esatta dello stemma di Benedetto XVI, la conchiglia di Sant’Agostino, l’orso di San Corbiniano e il moro incoronato dello stemma dei vescovi di Frisinga, che per Joseph Ratzinger era espressione dell’universalità della Chiesa; sulla destra il drago in campo azzurro con la stella. Il campo azzurro con la stella di Betlemme è un chiaro riferimento mariano. Il drago è usato in araldica per rappresentare la fedeltà, la vigilanza e il valore militare. Ma in araldica ecclesiastica ricorda il drago contro cui combatté San Giorgio. Il drago sputa fuoco verso la “casa“ del Papa, ma viene trafitto da una lancia che proviene dalla stella di Betlemme. Il motto è “Testimonium perhibere veritati”, “Rendere testimonianza alla verità”. Tutto, insomma, lascia intendere che Gänswein voglia dare al suo ministero episcopale l’impronta di Benedetto XVI. L’immagine che viene fuori dallo stemma e dal motto è quella di un collaboratore fedele, leale e vigile. Non solo: si pone come difensore di un Papa continuamente messo sotto attacco in questi ultimi anni. E lo fa utilizzando un privilegio araldico di cui godono i prefetti della Casa Pontificia, ovvero di far "inquartare" (cioè, dividere lo scudo dello stemma in quarti) nel suo scudo lo stemma del Papa regnante. Non lo aveva fatto il suo diretto predecessore James Michael Harvey, ora cardinale e arciprete della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura, e non lo aveva fatto nemmeno Stanislaw Dziwisz, lo storico segretario di Giovanni Paolo II (che però era Prefetto aggiunto). Lo aveva fatto, invece, Dino Monduzzi, che aveva preceduto Harvey come prefetto della Casa Pontificia: lo stemma di Giovanni Paolo II era inquartato nel suo stemma episcopale. Con la sua scelta araldica, Gänswein si rappresenta in contrasto netto con molto di quello che è stato scritto e detto di lui durante il periodo dello scandalo di Vatileaks. Scandalo da cui don Giorgio (come si fa chiamare a Roma) è uscito più forte di prima, con la promozione ad arcivescovo e la nomina a Prefetto della Casa Pontificia. Gänswein è ormai il solo filtro per l’accesso diretto a Benedetto XVI. E questo nonostante i vari attacchi che si sono succeduti contro di lui, specialmente in ambiente tedesco. È ancora ulteriormente significativo che il primo nome segnalato da Gänswein per l’abbraccio della pace dopo l’ordinazione sia quello di mons. Robert Zoelltisch, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca. Spesso, nell’ambiente tedesco più “fedele” a Roma, Zollitsch è stato dipinto come un vescovo in balia di correnti progressiste. Ma è considerato comunque, nell’ambiente tedesco vaticano che circonda il Pontefice, un vescovo fedele, il cui vero problema è di aver fatto un salto di carriera più grande di lui. Il fatto che sia stato chiamato da Gänswein per l’abbraccio della pace sta a testimoniare anche una premura, da parte del neo-arcivescovo, di tenere buoni rapporti con il clero tedesco. Un clero cui Gänswein non è mai stato simpatico. Non è forse un caso che è soprattutto dalla Germania che sono venuti gli attacchi più forti verso la figura del segretario del Papa, addirittura “promosso” vescovo dai media tedeschi almeno una dozzina di volte in sempre diverse diocesi della Germania, con l’intento di promuoverne l’allontanamento dall’appartamento pontificio. Tra i vescovi scelti per l’abbraccio della pace, c’è anche Gehrard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vicinissimo al pensiero di Benedetto XVI, di cui sta curando l’opera omnia e di cui ha ereditato la casa in piazza della Città Leonina. Una presenza che segnala ancora di più la volontà di mantenere forte il legame con il Papa. E poi, Charles J. Brown, divenuto nunzio apostolico in Irlanda dopo una carriera non diplomatica in Congregazione per la Dottrina della Fede: una nomina che fu caldeggiata fortemente dallo stesso Gänswein. Quale sarà il futuro di Gänswein? La nomina episcopale apre per lui nuovi orizzonti. Il suo ruolo nella Fondazione Joseph Ratzinger si avvia a diventare fondamentale. Per un vescovo che nasce come difensore del Papa, quale cosa migliore che difenderne attivamente il pensiero e fare in modo che gli studi di Joseph Ratzinger siano perpetuati e interpretati nel giusto modo? Allora, si può ipotizzare per Gaenswein un futuro da presidente della Fondazione, impegnato con Müller a pubblicare e ri-editare l’opera omnia del Pontefice. Un lavoro che, per quanto riguarda la traduzione italiana, Müller sta facendo in collaborazione stretta e fruttuosa con la Libreria Editrice Vaticana. D’altronde, lo stesso motto scelto da Gänswein richiama quello di Benedetto XVI, "Cooperatores Veritatis", cooperatori della verità. Il suo, “Rendere testimonianza alla verità”, vuole in qualche modo stare a significare una vicinanza e fedeltà al Pontefice “cooperatore” della verità. Non solo: l’espressione fu utilizzata da Pio XII nella sua prima Enciclica "Summus Pontificatus", in cui scrisse: “Di nulla ci sentiamo più debitori al nostro ufficio e anche al nostro tempo come di ‘rendere testimonianza alla verità’”. Quello di Gänswein non è però un motto particolarmente originale. Ed è curioso notare come prima di lui lo abbia utilizzato John Charles McQuaid, vescovo di Dublino morto nel 1973, che era stato accusato di abusi sessuali (accuse che poi sono stati completamente smentiti). E oggi lo stesso motto lo ha scelto Piotr Jarecki, ausiliare di Varsavia, recentemente arrestato per guida in stato di ebbrezza. I precedenti non sono di buon auspicio per il segretario del Papa. Ma c’è da starne certi: con la sua meticolosità, precisione, fedeltà e amore per il Pontefice, Georg Gänswein andrà oltre i cattivi auspici.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org

Card. Koch: Benedetto XVI, già quando era cardinale, ha giudicato che la maggior parte dei problemi nello sviluppo post-conciliare della liturgia è collegata al fatto che l’approccio del Concilio a questo mistero fondamentale non sia stato tenuto sufficientemente in considerazione

Il Concilio Vaticano II, e la sua "corretta interpretazione", è e resta "il punto di riferimento essenziale" per la missione della Chiesa oggi. È quanto ha ribadito il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Kurt Koch. In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi ad Armin Schwibach dell’agenzia cattolica austriaca Kath.net, il porporato ha affrontato il tema della riforma liturgica. In particolare, ha chiarito il senso di quella che ormai da diverse parti viene denominata come la "riforma della riforma". Una definizione, precisa, che «non può avere altro scopo che quello di risvegliare l'autentico patrimonio del concilio e di renderlo fruttuoso nella situazione della Chiesa oggi". In questo senso, viene inoltre sottolineato, "la questione della riforma liturgica è strettamente connessa con la questione della corretta interpretazione del Concilio". Il porporato nelle prime battute dell’intervista si sofferma sul significato dell’Anno della fede voluto da Benedetto XVI, tracciando un importante parallelismo con quello voluto a suo tempo da Paolo VI, "vedo più somiglianze che differenze", rilevando come per entrambi i Pontefici il Concilio Vaticano II sia il "punto di riferimento essenziale". Così, se per Papa Montini l’Anno della fede fu una "conseguenza del Concilio" e l’opportunità per richiamare l’urgenza della "confessione della vera fede cattolica" di fronte ai "gravi problemi" del tempo, per Papa Ratzinger l’Anno della fede è collegato al cinquantesimo anniversario dell’apertura del Vaticano II, "al fine di realizzare le principali preoccupazioni di questo Concilio". E, quanto ai compiti ecumenici affidatigli dal Santo Padre, il card. Koch sottolinea come l’Anno della fede significhi il richiamo a una "nuova consapevolezza che l’unità tra i cristiani può essere trovata solo se si riflette insieme sui fondamenti della fede". Anche perché, i "deserti del mondo di oggi" di cui parla il Papa e la scarsa incidenza della fede cristiana nella società attuale "influenzano tutte le Chiese cristiane e le comunità ecclesiali". Quanto poi alla riforma liturgica della Chiesa Cattolica, tema seguito con attenzione anche dalle altre Chiese e comunità ecclesiali, il porporato non ha mancato di rilevare l’"uso inflazionato" proprio del termine riforma. E, per sgombrare il campo da ogni strumentalizzazione, si è domandato quale sia il suo giusto significato. Ci si trova, ha detto, di fronte a un’"alternativa fondamentale". Infatti, se per riforma s’intende "una rottura con la storia passata", questa "non è più una riforma". Al contrario, intesa nel suo "significato letterale", la riforma liturgica trae il suo significato "da quella forma fondamentale del servizio del culto cristiano che è prescritta dalla tradizione della Chiesa". Di fatto, però, "la riforma della liturgia dopo il Concilio è stata spesso considerata e realizzata con un’ermeneutica della discontinuità e della rottura", considerando soprattutto il fatto che essa è "centrata sul mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo". Tuttavia, "Papa Benedetto XVI, già quando era cardinale, ha giudicato che la maggior parte dei problemi nello sviluppo post-conciliare della liturgia è collegata al fatto che l’approccio del Concilio a questo mistero fondamentale non sia stato tenuto sufficientemente in considerazione".

L'Osservatore Romano

A novembre Benedetto XVI ha concluso il suo primo ciclo di incontri con i vescovi di tutto il mondo per le visite 'ad limina apostolorum'. Nel 2013 incontrerà soltanto i presuli della Conferenza Episcopale italiana

Benedetto XVI ha concluso lo scorso novembre, con l'udienza ai vescovi della Francia, il suo primo ciclo di incontri con i vescovi di tutto il mondo per le visite 'ad limina apostolorum'. Nel 2013 incontrerà soltanto i presuli della Conferenza Episcopale italiana. "In questo 2013 - spiega in un'intervista a L'Osservatore Romano l'arcivescovo Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i vescovi - saranno i vescovi italiani a recarsi in pellegrinaggio alle tombe degli apostoli e a incontrare il successore di Pietro. E' una visita, la loro, molto significativa, perché il Papa è il vescovo di Roma quindi ha un legame molto stretto con i vescovi d'Italia: potremmo dire che il Papa è 'vescovo italiano'. Lo svolgimento dell'Anno della fede non permetterà la visita di altre Conferenze Episcopali, considerata anche l'ampiezza della Conferenza Episcopale italiana". "Visita ad limina apostolorum significa 'visita alle soglie degli Apostoli', nel senso che i vescovi sono periodicamente invitati ad andare a Roma per videre Petrum, compiere un pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, fondatori della Chiesa di Roma ed esprimere e rafforzare l'unità e la collegialità della Chiesa", ricorda il presule. "I canoni 399 e 400 del Codex iuris canonici in effetti prescrivono le visite a scadenza quinquennale, ma per eventi e circostanze particolari tale scadenza spesso non viene osservata".

TMNews

Nel segno della collegialità: concluso il primo ciclo di incontri del pontificato di Benedetto XVI, si riprende con i presuli italiani

L'Annuncio del giorno di Pasqua: nella Solennità dell’Epifania la pienezza del Natale, e nella gloria di Cristo che si manifesta luce per tutte le genti, simboleggiate dai Magi, ecco già splendere uno scorcio della Risurrezione

Nell’Epifania, la pienezza del Natale. E nella gloria di Cristo che si manifesta luce per tutte le genti, simboleggiate dai Magi, ecco già splendere uno scorcio della Risurrezione. C’è un elemento, nella liturgia di questa solennità, che il secondo aspetto evidenziato lo presenta in modo esplicito: è l’”Annuncio del giorno di Pasqua”, quella proclamazione che si può incastonare tra il Vangelo e l’omelia. Nel cuore della Messa, tanto per intenderci. Di ogni Messa che si celebra tra il tramonto della vigilia e la sera del 6 gennaio. La sua origine si perde nella notte dei tempi. A Milano ricordano che Sant’Ambrogio, in questo giorno, oltre ad annunciare la Pasqua annotava il nome di coloro che avrebbero dovuto essere battezzati nella veglia di Risurrezione. E si narra di una volta in cui il futuro patrono affermò sconsolato: “ho tratto le reti fin dall’Epifania, ma esse sono rimaste vuote”. Ancor oggi l’”Annuncio” è previsto sia dal rito romano che da quello ambrosiano, ma le 2 tradizioni presentano testi diversi. A spiegarli è mons. Claudio Magnoli, nell’arcidiocesi di Milano responsabile del Servizio per la pastorale liturgica. “Differenza più evidente - annota il prelato -, è che nella versione ambrosiana viene indicata solo la data della Pasqua, mentre quella romana presenta anche i giorni di alcune altre festività mobili: le Ceneri, l’Ascensione, la Pentecoste, la prima domenica di Avvento”. Ma non è solo questione di numeri. “L’’Annuncio’ ambrosiano - prosegue il liturgista -, della Pasqua sottolinea in modo specifico 2 dimensioni: misericordia e gioia. La prima ci rende consapevoli del fatto che, se giungeremo a celebrare la Risurrezione, sarà per bontà di Dio. La seconda, invece, riprende il tema tipico di quella grande solennità”. Prospettiva un po’ diversa per il rito romano: “qui il giorno di Pasqua è presentato come il centro di tutto l’anno liturgico, una sorta di data zero da cui scaturiscono le altre festività variabili”. Ma elemento comune a questi 2 riti, la solennità del testo. “Per questo - raccomanda il liturgista - dove possibile è bene che sia cantato. Dal diacono, piuttosto che dallo stesso sacerdote. Oppure anche da un solista laico”. Il testo viene così elevato a vero e proprio elemento rituale, acquista una risonanza molto più ampia rispetto a quella di una semplice lettura. Le melodie qui proposte all’ascolto sono quelle originali in canto gregoriano (per la versione romana) e ambrosiano (per quella milanese), adattate al testo italiano. Ad accomunarle, un elemento simbolico di non poco conto: entrambe richiamano l’annuncio della Risurrezione previsto dal rispettivo rito. Quello che viene intonato la notte di Pasqua. Ma non solo. La struttura stessa dell’Annuncio pasquale (che nel rito ambrosiano canta semplicemente “Cristo è risorto”, mentre in quello romano si articola in una corposa rilettura della storia salvifica culminante con la lode del cero, immagine del Signore vittorioso sul peccato e sulla morte) ricalca fedelmente l’impianto formale di quello che viene proclamato il 6 gennaio. Stringato a Milano, più elaborato a Roma e nella Chiesa universale. Eppure, lo si diceva all’inizio: in entrambe le tradizioni ecclesiali, l’Epifania è pienezza del Natale. E anticipazione della gloria che irradia Cristo risorto.

Avvenire

Mons. Jean-Paul Gobel nominato nunzio apostolico in Egitto e delegato all’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi. Mons. Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, che domani sarà ordinato vescovo dal Papa, nominato nunzio in Guatemala

Va in pensione mons. Michael Louis Fitzgerald. Il presule britannico, 75 anni, dal 2006 era nunzio apostolico in Egitto, dove Benedetto XVI lo aveva inviato, pochi mesi dopo l'elezione al Soglio Pontificio, dopo una lunga carriera nella Curia romana. Esponente dell'ala 'progressista' del Vaticano, Fitzgerald era stato prima segretario (dal 1987 al 2002) e poi presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso (dal 2002 al 2006). Un'esperienza che si è rivelata preziosa per l'incarico in un paese che, pochi anni dopo, è stato un baricentro della 'primavera araba'. L'ambasciatore vaticano si è trovato a dover gestire, con prudenza e competenza, le proteste di piazza Tahrir, il passaggio del potere da Mubarak ai Fratelli musulmani nonché lo screzio diplomatico tra la Santa Sede e l'università islamica di al-Azhar e le ultime turbolenze politiche tra manifestanti e il presidente Mohammed Morsi in occasione del voto sulla nuova Costituzione. Oggi Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Egitto mons. Jean-Paul Gober, sinora nunzio in un altro paese delicatissimo per la diplomazia vaticana, l'Iran. Gobel assume anche l'incarico di delegato presso l'organizzazione della Lega degli Stati arabi. Il bollettino vaticano relativo alla sua nomina non menziona, come è consuetudine nell'annuncio delle nomine, il predecessore Fitzgerald. Il Papa ha anche assegnato la sede del Guatemala al nuovo nunzio apostolico Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, che domani riceverà l'ordinazione arcivescovile dal Papa assieme ad altri tre prelati. Mons. Thevenin è stato consigliere per le questioni internazionali del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone fino al 2009, quando è stato nominato Protonotario Apostolico 'de numero participantium'. Il Papa ha infine nominato, per un quinquennio, direttore della Direzione della Ragioneria dello Stato della Città del Vaticano Antonio Chiminello, finora vice-direttore della medesima Ragioneria dello Stato, compito distinto da quello di ragioniere della Prefettura degli Affari economici. Chiminello prende il posto del direttore uscente Eugenio Borgognoni, membro, tra l'altro, del Consiglio di Amministrazione del Fondo Pensioni e del cda del Fondo Assistenza Sanitaria.

TMNews

RINUNCE E NOMINE

Vigilia della Solennità dell'Epifania del Signore. Il Magistero del Papa: se nel corso della storia i cristiani, essendo uomini limitati e peccatori, hanno talora potuto tradirlo con i loro comportamenti, questo fa risaltare ancor di più che la luce è Cristo e che la Chiesa la riflette solo rimanendo unita a Cristo

La Chiesa vive oggi la vigilia della Solennità dell’Epifania, che vedrà Benedetto XVI presiedere domattina alle 9.00, nella Basilica di San Pietro, la Santa Messa durante la quale ordinerà quattro nuovi vescovi: mons. Georg Ganswein, suo segretario particolare e prefetto della Casa Pontificia, mons. Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e i nunzi apostolici mons. Fortunatus Nwachukwu e mons. Nicolas Thevenin, oggi nominato dal Papa suo rappresentante in Guatemala.
La Grotta e il palazzo. È tra questi due poli che la storia della salvezza gioca i suoi istanti cruciali. Tra le stanze dove il re Erode progetta di sterminare i suoi nemici neonati e la stalla dove vagisce il Principe che porta la pace passano pochi chilometri, ma in realtà corre un abisso, una traiettoria di luce e una di tenebra. Sull’orlo di questo abisso, guidati dalla luce di una stella e insidiati da un’ombra di malvagità, si snoda il viaggio dei Magi. In quel lungo itinerario, Benedetto XVI ha più volte visto in simbolo il pellegrinaggio che l’umanità compie da sempre verso Cristo. Un percorso però non sempre lineare perché, in ogni epoca, a chi tiene fissi gli occhi sulla cometa si affianca sempre chi preferisce guardare altro e altrove.
“Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio...Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio” (6 gennaio 2010).
Ed è per offrire un sole definitivo alle troppe ombre nelle quali si dibattevano, che Dio ha deciso, attraverso suo Figlio, di compiere per primo il pellegrinaggio dal cielo verso gli uomini. “Per amore Egli si è fatto storia nella storia”, ha detto in una occasione il Papa, parlando della bellezza dell’Incarnazione: “Cristo è luce, e la luce non può oscurare, ma solo illuminare, rivelare. Nessuno pertanto abbia paura di Cristo e del suo messaggio! E se nel corso della storia i cristiani, essendo uomini limitati e peccatori, hanno talora potuto tradirlo con i loro comportamenti, questo fa risaltare ancor di più che la luce è Cristo e che la Chiesa la riflette solo rimanendo unita a Cristo” (6 gennaio 2007).
In questo modo la Chiesa, ha affermato ancora Benedetto XVI, svolge oggi la funzione che duemila anni fa la cometa ebbe per i Magi che cercavano Gesù rifuggendo da Erode: “Anche la Chiesa, pertanto, svolge per l’umanità la missione della stella. Ogni autentico credente è sempre in cammino nel proprio personale itinerario di fede e, al tempo stesso, siamo in cammino con la piccola luce che portiamo dentro di noi, e possiamo e dobbiamo essere di aiuto a chi si trova al nostro fianco, e magari stenta a trovare la strada che conduce a Cristo” (6 gennaio 2008).
Da venti secoli, dunque, splende sulle vicende umane un faro che indica la rotta in mezzo alle tante zone buie che continuano a scoraggiare e spaventare. La scelta della direzione è un atto di libertà dell’uomo. La traiettoria cristiana, ripete il Papa, ha una certezza: “Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato” (6 gennaio 2009).

Radio Vaticana

Lombardi: per Benedetto XVI i Magi sono l'umanità che si incammina verso Cristo, rappresentano l'attesa interiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo

Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, dedica il suo editoriale per "Octava Dies", il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano, all'attualità delle figure dei Magi specie nell'Anno della fede. "Uomini di una certa inquietudine interiore; uomini animati dalla dinamica di andare aldilà di sé; filosofi, cioè amici della sapienza - sono le parole di Lombardi - che oltre il sapere scientifico cercano la comprensione del tutto; che portano la ragione alle sue possibilità più' elevate; che al seguito di Socrate si interrogano aldilà della religione ufficiale circa la verità più grande; che al seguito di Abramo partono alla chiamata di Dio". Padre Lombardi ha affermato: "Questi sono alcuni dei modi in cui il Papa - nel suo ultimo libro sull'infanzia di Gesù - cerca di rispondere alla domanda: 'Che genere di uomini erano i Magi?'. E continua: Sono l'umanità che si incammina verso Cristo, rappresentano l'attesa interiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo. In questo Anno della fede i Magi possono e devono accompagnarci. Perché la fede non è mai scontata. Una fede scontata non è fede". "La fede - aggiunge padre Lombardi - è l'anima di un pellegrinaggio e di una ricerca sempre nuova, a cui - come per i Magi - non sono estranei il creato, le scienze, le tradizioni, le Scritture, le fatiche della ragione e della vita, il dialogo con chi si incontra sulla via. Fede è cammino nella speranza su questa nostra terra, nelle situazioni molto concrete del 2013 che inizia. I Magi - conclude il gesuita - sono premiati da un incontro sorprendente, fonte di grandissima gioia. Perché non sperarlo anche noi?".

Vatican Insider

'Benedetto XVI, ritratto inedito': questa sera speciale di 'Tg2 Dossier' curato dal vaticanista Lucio Brunelli con interviste e contributi ma soprattutto le immagini e le parole del Papa

S’intitola "Benedetto XVI, ritratto inedito", la puntata di "Tg2 Dossier" in onda questa sera alle 23.30 su Rai Due. Lo speciale dedicato al Papa è curato dal vaticanista Lucio Brunelli. Attraverso interviste e contributi, ma soprattutto attraverso le immagini e le parole del Papa, Brunelli parla del Pontificato ratzingeriano ricordando come in principio "fu solo il Papa teologo, ritenuto freddo e lontano dalla gente", il “pastore tedesco” inteso come inflessibile guardiano della fede, come ebbe a titolare a tutta pagina all’indomani dell’elezione il quotidiano Il Manifesto. Ma ora, dopo quasi otto anni di Pontificato, quell’immagine di Benedetto XVI è cambiata fra i fedeli? E se sì, come? Il Dossier del Tg2 cerca di rispondere a queste domande con un’inchiesta che svela di Papa Ratzinger e del suo papato gli aspetti meno conosciuti dal grande pubblico. La visita agli anziani, il dialogo con i carcerati, l’incontro con i rom vengono raccontati con video e testimonianze inedite. Trovano poi spazio le riflessioni sorprendenti di autorevoli commentatori, da Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose ai “marxisti ratzingeriani” Giuseppe Vacca e Mario Tronti. E ancora, il Papa tedesco visto dai detenuti di Rebibbia e dagli ambulanti storici di Piazza San Pietro... Insomma, un ritratto inedito, senza pregiudizi e senza agiografia, ma coinvolgente e non scontato, che contribuisce a mostrare di Benedetto XVI un volto spesso non veicolato dai mass media. Una delle testimonianze più belle e toccanti del Dossier c’è quella di Federico Abiati, il detenuto sieropositivo che rivolse una delle domande al Pontefice durante la visita nel carcere di Rebibbia. Era la domanda nella quale diceva che dei carcerati si parla con "ferocia" fuori dal carcere. Papa Ratzinger rispose: "E' vero... ma a volte parlano con ferocia anche di me". Tra le curiosità raccontate nella puntata c’è anche il retroscena sul titolo del Il Manifesto sul "Pastore tedesco". La racconta al Tg2 Gabriele Polo, all’epoca direttore del quotidiano, spiegando che in redazione, il giorno in cui Joseph Ratzinger venne eletto, avevano preparato come bozza per la prima pagina il terribile titolo "Papa nero", per dire Papa "di destra". Poi il caporedattore del quotidiano ricevette una telefonata da Ivan Bonfanti, giornalista da poco scomparso che allora lavorava a Liberazione. Gli era venuto come titolo "Il pastore tedesco", ma il giornale di Rifondazione comunista aveva scartato l’idea. Il Manifesto non se la fece scappare. Anche se quel titolo voleva essere evocativo dell’inflessibilità di Papa Ratzinger come guardiano dell’ortodossia, sette anni dopo l’accento sul "pastore" si è rivelato azzeccato.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

Il viaggio di pace di Benedetto XVI ha 'illuminato' il 2012 del Libano, anno contraddistinto da luci e ombre. Il momento più buio l’attentato a Wissam el-Hassan, legato alla guerra in Siria. Il messaggio di speranza consegnato dal Papa, istante di 'felicità e grazia'

Fra i molti eventi che hanno caratterizzato l'anno appena concluso, il più grave è stato l'attentato contro Wissam el-Hassan, legato a doppio filo alle oscure trame di potere e interessi che ruotano attorno all'arresto dell'ex ministro Michel Samaha. E, di conseguenza, alla guerra in Siria. Nei fatti, il Libano ha vissuto per tutto l'anno al ritmo scandito da questa guerra, percepita come un avvenimento interno, tanto le sorti dei due Paesi si sono intrecciate nei decenni scorsi e per il fattore stesso della vicinanza fisica. Un elemento presentato come fatalità dettata dalla geografia, la quale comporta dei doveri a livello politico. Già, [noi libanesi] abbiamo vissuto questo 2012 al ritmo del crollo immane e fragoroso di uno dei regimi, in apparenza, più solidi del mondo arabo; al tempo dettato dalla sua caduta agli inferi, la cui somiglianza alla nostra è così forte da suscitare inquietudine. E i versi del profeta Abacuc (vissuto nel 600 a. C.), non ne dubitiamo affatto, sono subito tornati alla mente di moltissimi libanesi disgustati dalla loro stessa guerra: "Guai a chi fa bere i suoi vicini, versando veleno per ubriacarli e scoprire le loro nudità. Ti sei saziato di vergogna, non di gloria. Bevi, e ti colga il capogiro. Si riverserà su di te il calice della destra del Signore e la vergogna sopra il tuo onore, poiché lo scempio fatto al Libano ricadrà su di te e il massacro degli animali ti colmerà di spavento, a causa del sangue umano versato, della violenza fatta alla regione, alla città e a tutti i suoi abitanti". Qualcuno ha voluto, confondendo le situazioni, applicare questa invettiva contro l'oppressore babilonese pronunciata da Abacuc, come fosse una profezia, ad un Libano martirizzato e violentato da un oppressore che molti associano col regime siriano al collasso. Torna al contempo alla mente, anche il grido appassionato di Giovanni Paolo II rivolto alle potenze mondiali, accusate di violentare le nazioni più piccole. Tuttavia, noi non siamo affatto una nazione modello anzi. Il modello libanese lo deformiamo tutti i giorni attraverso i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza. Ma nei fatti, frutto di una vocazione che ci è stata inculcata, noi cristiani e musulmani viviamo fianco a fianco, all'interno di una comunità culturale e di una eguaglianza civile che non ha pari al mondo. E questo modello, per quanto imperfetto, è ancora oggi una opportunità per il mondo o ancora, per rifarci alle parole di Michel Eddé, "la risposta alla sua angoscia". Buongiorno Mahmoud, grazie Maroun. Questo modello ha sorpreso e colpito in modo così profondo Benedetto XVI, che sembrava essere dispiaciuto di non aver fatto visita prima al Libano. Ecco: è proprio il Papa, rispetto al momento buio di Achrafieh, il picco luminoso dell'anno 2012. Momento di felicità e di grazia. Noi, a nostra volta, siamo dispiaciuti che Benedetto XVI non abbia infuso prima la sua pozione antropologica magica, quella che abbiamo gustato e bevuto senza troppo riflettere nel suo passaggio al palazzo presidenziale di Baabda. In un discorso così conciso e ristretto da sembrare un caffè che si serve sui tavoli dei bar di Roma, certo per una questione di tempi, Benedetto XVI ci ha dato i consigli più preziosi e utili. Questo testo, che va riletto con attenzione per quanto è denso di significati, si presenta un po' come il completamento teologico dell'Esortazione Apostolica alle Chiese del Medio oriente, del quale costituisce un elemento inseparabile. Fate attenzione, avverte in buona sostanza il Papa, rivolgendosi agli artefici di un Libano ancora esposto al pericolo di crolli e del quale intere parti sono ancora oggi in rovina: per costruire la pace, bisogna mettere le fondamenta nel cemento armato; una sana e giusta antropologia che definisce ciò che noi intendiamo per "uomo", e che tiene conto di tutto quanto vi è nell'uomo e nel mondo, il visibile e l'invisibile. Quando costruite, fate i conti con quanti - nel medesimo istante, senza che voi siate necessariamente in grado di vederli - cercano di distruggere: "Che gli uomini di Stato e i responsabili delle religioni vi riflettano!" esortava il Papa nel suo discorso. "Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l'uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l'uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. È così che, avendo offeso il primo comandamento, l'amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l'amore del prossimo. Con lui, l'amore del prossimo sparisce a vantaggio della menzogna e dell'invidia, dell'odio e della morte. Ma è possibile non lasciarsi vincere dal male e vincere il male con il bene. È a questa conversione del cuore che siamo chiamati. Senza di essa, le 'liberazioni' umane tanto desiderate deludono, perché si muovono nello spazio ridotto concesso dalla ristrettezza di spirito dell'uomo, dalla sua durezza, dalle sue intolleranze, dai suoi favoritismi, dai suoi desideri di rivincita e dalle sue pulsioni di morte". È tenendo conto di questi avvertimenti, che bisogna rileggere certe frasi del discorso di Benedetto XVI: "L'indifferenza o la negazione di ciò che costituisce la vera natura dell'uomo impediscono il rispetto di questa grammatica che è la legge naturale inscritta nel cuore umano [...] Dobbiamo dunque unire i nostri sforzi [musulmani e cristiani] per sviluppare una sana antropologia che comprenda l'unità della persona. Senza di essa, non è possibile costruire l'autentica pace". L'11 ottobre 2010, all'apertura della 1° Congregazione generale del Sinodo per il Medio oriente, a Roma, Benedetto XVI aveva improvvisato una meditazione profetica sulla "caduta degli dei" e la nascita di un nuovo mondo dal dolore. Nel mistero di Betlemme e della Chiesa, che noi festeggiamo in questi giorni, il Papa vedeva "un mistero cosmico". Per lui, "il Cristo nasce ogni giorno in tutte le generazioni e così accoglie, racchiude in se stesso l'umanità. E questa nascita cosmica si compie nel grido della Croce, nel dolore della Passione. Ed è a questo grido della Croce, che appartiene il sangue dei martiri". Detto in altro modo e in maniera più modesta, la pace in Libano e in Medio oriente non potrà che fondarsi sulla "violenza degli uomini di pace", a qualsivoglia comunità essi appartengano. E "la gloria del Libano", della quale qualcuno parla con troppa superficialità, è e resterà sempre inseparabile dalla croce. Ed è per mezzo di lei, che il Libano entrerà alla fine nella terra promessa di una maturità politica e umana tanto decantata da tutti, e pur sempre un pochino carente.

Fady Noun, AsiaNews

Chiude per scarsità di chiamate la linea telefonica per segnalare casi di abusi del clero su minori. Istituita nel 2010 dai vescovi tedeschi a seguito degli scandali, la decisione è stata presa lo scorso mese di aprile

“Chiusa la linea telefonica per segnalare gli abusi sui minori istituita dalla Conferenza Episcopale tedesca”: la notizia della Deutsche Welle ha provocato qualche malumore in Germania, ma era tutto previsto, rispondono i diretti interessati che hanno convocato una conferenza stampa il prossimo 17 gennaio a Treviri per fornire dati e spiegazioni in merito. Istituita nel bel mezzo della bufera sugli abusi nei confronti dei minori compiuti da decine di preti e religiosi anche in terra tedesca, a cominciare dalla capitale Berlino (e numerosi casi in orfanatrofi dell’ex DDR), la linea telefonica, senza precedenti in Europa, faceva capo direttamente ai vescovi dal 2010 con sede operativa a Treviri e la guida di Andreas Zimmer. Diverse le segnalazioni (si parla più di 4 mila solo il primo giorno) che avevano attivato le severe procedure concordate, ma da qualche mese la linea era praticamente deserta, come ha riferito Matthias Kopp, portavoce della Conferenza Episcopale, di qui la decisione (presa ancora il 2 aprile scorso) di disattivarla al termine del 2012. Una decisione non condivisa da Johannes-Wilhelm Rörig, rappresentante indipendente nominato dal governo tedesco che in un’intervista alla TV pubblica ha dichiarato che “una linea telefonica è un primo passo verso la ricerca di aiuto da parte delle vittime”. Concorda con lui Michael Ermisch, anch’egli vittima di abuso, e a capo dell’iniziativa del governo tedesco in difesa dei minori. Attualmente dal sito della Conferenza Episcopale tedesca un link rinvia a www.praevention-kirche.de, un sito apposito con una serie di informazioni utili, le linee guida, le misure adottate e, come ricorda anche Kopp, l’elenco dei responsabili della prevenzione degli abusi attivi in ciascuna delle 27 diocesi della Germania. Come dire: un numero telefonico, per giunta all’interno della propria diocesi, si può rintracciare facilmente. Anzi per il portavoce questa sarebbe ancora una modalità ancora più efficace di un numero verde lontano. In vista della conferenza stampa del 17 gennaio, lo scorso mese sono stati pubblicati i risultati della Commissione congiunta della Conferenza Episcopale e dell’Istituto di Psichiatria Forense dell’Università di Duisburg-Essen sugli abusi in Germania da parte del clero.

Maria Teresa Pontara Pederiva, Vatican Insider

Anno della fede. Intenzione di preghiera del Papa per il mese di gennaio: perché i cristiani possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in lui

Nell’Anno della fede, i cristiani “possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in Lui”. È l’auspicio che Benedetto XVI affida alla preghiera della Chiesa nella sua intenzione generale per il mese di gennaio. In questi ultimi mesi, soprattutto nelle Udienze generali, il Papa sta sviluppando una riflessione specifica sull’Anno della Fede e sulle responsabilità che esso comporta per i cristiani. Andare in battaglia in chiara situazione di svantaggio non è cosa che faccia stare tranquillo né un generale, né l’ultimo dei fanti. A meno che non si sappia di poter contare su un alleato di schiacciante superiorità. L’Anno della fede proclamato da Benedetto XVI circa tre mesi fa contiene per chi crede lo spirito di questa sfida: un combattimento in condizioni di ambiente sempre più spesso ostile, dunque con le difficoltà, e anche i timori, indotti dall’inferiorità numerica, ma con la certezza che chi combatte di fianco ha la forza dell’onnipotenza. Non per niente, nell’aprire l’Anno della fede, Benedetto XVI ha spinto i cristiani nei “deserti del mondo contemporaneo”, laddove cioè la terra della fede mostra le crepe della siccità anche tra i battezzati: “Il cristiano oggi spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo...Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella nostra vita quotidiana” (17 ottobre 2012).
Spesso la fede, affermava il Pontefice, “è vissuta in modo passivo e privato” e questa remissività è alla base della “frattura” che esiste “tra fede e vita”. Eppure, aveva ribadito di recente Benedetto XVI, per rendere efficace l’annuncio di Gesù agli altri non c’è mai stato bisogno del piedistallo di una cattedra: “L’evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell’intero Popolo di Dio, sotto la guida di Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo” (20 settembre 2012).
Nell’intenzione di preghiera, inoltre, il Papa utilizza una parola che spesso passa inosservata, o viene considerata una sorta di “guarnizione” estetica al concetto dell’evangelizzazione, ovvero il fatto di testimoniare con “gioia”. Per far breccia nei muri di indifferenza verso Dio, ebbe a dire Benedetto XVI, c’è bisogno di cristiani “entusiasti della propria fede”. Un entusiasmo, però, tutt’altro che ingenuo: “La gioia cristiana scaturisce pertanto da questa certezza: Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida” (16 dicembre 2007).
Chiarito il contesto della sfida – e la natura della fiducia da portare nel cuore – Benedetto XVI enumera le armi con cui combatterla: “Non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione – ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione” (11 ottobre 2012).

Radio Vaticana