martedì 29 gennaio 2013

Iniziato a Roma il Sinodo della Chiesa caldea che deve eleggere il nuovo Patriarca. Card. Sandri: dall’elezione deriva il futuro stesso della vostra Chiesa. Cresce il peso dei vescovi della diaspora

Le votazioni avranno inizio domani, ma il Sinodo della Chiesa patriarcale di Babilonia dei Caldei, convocato da Benedetto XVI per l’elezione del nuovo patriarca, è stato aperto ufficialmente ieri a Roma, nella casa per esercizi spirituali dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, gestita dai passionisti. A presiedere il Sinodo, al quale partecipano 15 vescovi caldei, sette provenienti dall’Iraq, due dall’Iran, due dagli Usa, e uno rispettivamente da Libano, Siria, Australia e Canada, è il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che ieri mattina ha aperto i lavori richiamando gli elettori alle loro responsabilità. "In questo atto elettivo – ha detto Sandri – di suprema importanza davanti a Dio davanti alla Chiesa e a tutti i fedeli", ciascuno di voi "è corresponsabile di ciò che dall’elezione patriarcale deriva, specialmente nel delicato momento storico: il futuro stesso della Chiesa caldea e della sua tradizione e patrimonio, la comprensione dei tempi e delle situazioni ecclesiali, storiche e sociali, l'elaborazione degli orientamenti pastorali e le loro stesse applicazioni". "È la Chiesa caldea – ha continuato il cardinale – che vi invita a compiere i sacrifici necessari con gli occhi illuminati dalla fede e lasciati da parte tutti gli interessi personali a vantaggio della vostra Chiesa e di quella universale. Sia la luce dello Spirito a guidarvi nell’elezione del nuovo 'Pater et Caput' con la consapevolezza che quanto vi unisce dal punto di vista spirituale, sacramentale e pastorale è di gran lunga superiore a quanto potrebbe separarvi vicendevolmente affinché l’unità che ci rinsalda si esprima in questa elezione con tutto il suo vigore ed efficacia". Parole che lasciano intendere l’esistenza di visioni diverse all’interno del Sinodo. Sandri ha concluso il suo discorso ricordando ai vescovi caldei l’importanza della "libertà di elezione", cioè l’assenza di condizionamenti e patteggiamenti; del voto "emesso di fronte a Dio, e senza subordinarlo ad altri interessi»; della necessità di assegnare la preferenza «al miglior candidato per dignità e idoneità, senza alcun altro pensiero che la gloria di Dio ed il bene della Chiesa". Nell’agenda del Sinodo della Chiesa caldea convocato a Roma per eleggere il nuovo Patriarca, la giornata di oggi è riservata al confronto tra i vescovi sulla condizione e sui problemi vissuti dalle comunità caldee nel territorio patriarcale e nella diaspora. Per essere eletto, il nuovo Patriarca dovrà raccogliere i due terzi dei quindici voti disponibili. Ma all’appuntamento, l’episcopato caldeo si presenta diviso. Sono sotto gli occhi di tutti i colpi e il declino subiti dopo l’operazione "Iraqi Freedom" da quella che fino ad allora era una comunità cattolica autoctona tra le più tenacemente radicate nell’area mediorientale. Ma nella partita per l’elezione del nuovo Patriarca si fronteggiano prospettive diverse su come affrontare l’emergenza e garantire continuità a quella Chiesa cattolica sui iuris. Nello scenario iracheno messo a dura prova dai revanscismi etnico-religiosi, anche in seno alla compagine caldea ha guadagnato terreno negli ultimi anni l’opzione identitaria. Se sotto il regime baathista i capi caldei teorizzavano l’assimilazione culturale e politica dei cristiani al milieu arabo, nel confuso dopoguerra alcuni di loro si sono posti come leader di una minoranza etnico-nazionale in lotta per la salvaguardia dei propri diritti sociali, politici e culturali. L’ambiente favorevole a questa nuova sensibilità identitaria è stata la diaspora caldea radicatasi negli Stati Uniti, con la sua galassia di circoli, movimenti e sigle politiche. A livello ecclesiale, gli alfieri della riscoperta identità etnica e dei suoi correlati rituali e liturgici sono i due vescovi caldei insediati negli Usa: il 75enne Ibrahim Ibrahim, residente a Southfield (Michigan) e il 71enne Sahrad Jammo, residente a San Diego (California). Soprattutto il primo, nonostante l’età (a 75 anni i vescovi sono tenuti a rinunciare al proprio governo episcopale) è entrato come “papabile” nel Sinodo elettorale di questi giorni. Nato nel villaggio di Telkaif, come il patriarca dimesso Emmanuel III Delly e almeno altri due vescovi elettori, prima di venire a Roma Ibrahim ha rilasciato al The Michigan Catholic, organo della diocesi di Detroit, un’intervista in cui esaltava la progressione esponenziale compiuta negli ultimi lustri dalla diaspora caldea in Usa, passata dai 20mila fedeli di 30 anni fa ai 220mila di oggi. L’elezione a patriarca di un vescovo insediato in Occidente confermerebbe l’immagine di una Chiesa caldea “a trazione americana”, che perde terreno nei territori tradizionali del suo insediamento (dove i fedeli, secondo le stime più pessimiste, sarebbero ormai poche centinaia di migliaia) e affida alle sensibilità identitarie delle comunità d’Oltreoceano la conservazione delle proprie peculiarità liturgiche, teologiche e culturali. In tempi recenti non sono mancate congetture su un possibile trasferimento in America del patriarcato caldeo, in maniera analoga a quanto già avvenuto alla Chiesa assira d’Oriente, il cui patriarca trasferì la sua residenza abituale negli Usa già negli anni Trenta del secolo scorso, dopo le stragi anti-assire consumate a quel tempo in territorio iracheno. Alla prospettiva identitaria e delocalizzata prevalente negli ambienti della diaspora si sottraggono diversi vescovi a capo di diocesi nel Kurdistan iracheno e in altre regioni mediorientali. Cinque di loro, compresi Rabban Al-Quas, Louis Sako e Mikha Pola Maqdassi, presenti al Sinodo elettivo in corso a Roma, nel giugno 2007 boicottarono clamorosamente un’assemblea sinodale per marcare la loro distanza dalla linea del patriarca Delly e denunciare la "condizione insana" e lo stato di abbandono pastorale in cui ai loro occhi versavano le comunità caldee. Tra le altre cose, i cinque vescovi del Nord Irak respingevano i ricorrenti progetti di creare un’area di autonomia amministrativa di “protezione” per i cristiani assiri e caldei, da dislocare nella piana di Ninive, a nord di Mosul. Di recente, l’arcivescovo di Kirkuk Louis Sako in un appello lanciato dall’agenzia Fides ha denunciato anche la "trappola del nazionalismo" che minaccia le antiche Chiese orientali d’origine apostolica, soprattutto quando sono indebolite dalle emorragie migratorie dirette verso i Paesi occidentali. Il vescovo siriano di Aleppo, Antoine Audo SJ, continua a essere un punto di riferimento per i vescovi più insofferenti della scarsa sensibilità ecclesiale che, a loro giudizio, ha connotato i vertici della Chiesa caldea negli ultimi anni. I detrattori del gesuita siriano continuano a contestargli una scarsa familiarità con la lingua caldea in uso nelle liturgie tradizionali. Mentre appaiono ormai evaporate le antiche, e infondate, accuse di coltivare simpatia per il regime baathista degli Assad. Un altro fattore con cui dovrà misurarsi il nuovo patriarca è l’aumento delle tensioni anche istituzionali che mettono in discussione la tenuta unitaria della stessa nazione irachena. Nelle aree del Kurdistan iracheno, che con la sua autonomia politico, amministrativa rappresenta la prima embrionale realizzazione delle aspirazioni nazionali curde, oggi sono concentrate la maggior parte delle diocesi caldee. Nelle strategie curde di lungo periodo sembra esserci anche un ruolo assegnato alle comunità cristiane in Irak, a giudicare dalle cospicue risorse dirottate qualche anno fa verso le Chiese dal governo regionale del Kurdistan per costruire parrocchie, sedi episcopali, scuole. Un “soccorso curdo” che alimenta aspirazioni di ritrovata grandezza. Nei mesi scorsi l’arcivescovo caldeo di Erbil Bashar Warda ha benedetto la prima pietra di una Università cattolica che dovrebbe essere ultimata nel sobborgo di Ankawa entro il 2015. Ad Ankawa è già dislocato il Babel College, la facoltà di teologia e filosofia che prima della guerra si trovava a Baghdad e che attualmente rappresenta l’unico centro cristiano di studi teologici di alto livello operante in Irak. Ma se i politici del Kurdistan iracheno puntano a guadagnare il sostegno delle minoranze cristiane alla causa indipendentista curda. anche questo scenario non è privo di controindicazioni per i caldei rimasti in Irak. Nel Paese sottoposto a forti spinte centrifughe, un patriarca sbilanciato in rapporti preferenziali con una sola componente del mosaico iracheno finirebbe per creare nuovi problemi all’intera comunità caldea. Davanti a un puzzle così complicato, in caso di stallo elettorale la Santa Sede, prima di avocare al Papa la nomina del successore di Delly, sarà chiamata a esercitare sul Sinodo caldeo una “moral suasion” a favore di un candidato in grado di raccogliere consensi dai diversi gruppi in competizione. Tenendo conto, come ha sottolineato il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni, che ogni vescovo caldeo è comunque degno di divenire patriarca della sua Chiesa.

Andrea Tornielli, Vatican Insider

'Per molti' vince su 'per tutti': la nuova traduzione delle parole della consacrazione voluta da Benedetto XVI sta per arrivare anche in Italia, ma già sono state annunciate proteste e disobbedienze

Mentre si avvicina alla conclusione la "recognitio" vaticana della nuova versione italiana del Messale romano, la disputa sulla traduzione del "pro multis" nella formula della consacrazione eucaristica ha registrato nuove battute. L'ultima ha per autore il teologo e vescovo Bruno Forte. In un articolo su Avvenire del 19 gennaio 2013 Forte si è di nuovo schierato con decisione per tradurre "pro multis" con "per molti", invece che con "per tutti" come si fa da più di quarant'anni in Italia e come analogamente si è fatto in molti altri paesi. "Per molti" è la traduzione che lo stesso Benedetto XVI esige che venga adottata nelle varie lingue, come ha spiegato in una lettera ai vescovi tedeschi dell'aprile dl 2012. Da qualche tempo, in effetti, la traduzione "per molti" sta tornando in uso in varie lingue e paesi, sotto la spinta delle autorità vaticane e del Papa in persona. Ma si registrano anche delle resistenze. È stato segnalato, ad esempio, che a Londra, a Canterbury e in altre località inglesi vari sacerdoti modifichino intenzionalmente il "for many" della nuova versione inglese del Messale, approvata dal Vaticano, e dicano "for many and many". In Italia la nuova versione non è ancora entrata in vigore. Ma quando anche qui il "per molti" diventerà legge, come sicuramente avverrà, sono state già annunciate proteste e disobbedienze. Difendendo a spada tratta la versione "per molti" voluta dal Papa, il vescovo-teologo Forte si è consapevolmente contrapposto alla posizione largamente prevalente non solo tra i teologi e i liturgisti ma tra gli stessi vescovi italiani. Nel 2010, infatti, i vescovi italiani riuniti in Assemblea generale votarono quasi all'unanimità il mantenimento del "per tutti" nella formula della consacrazione. In quell'occasione, stando agli atti ufficiali della conferenza episcopale italiana, anche Forte si era pronunciato a favore del "per tutti". Ma ora egli spiega che quelle sue parole non esprimevano il suo vero pensiero. Forte ricorda che in un precedente incontro ristretto, col solo direttivo della CEI, aveva espresso la sua preferenza per il "per molti". E se poi, nell'Assemblea generale, era parso ripiegare sul mantenimento del "per tutti", era perché aveva messo in primo piano le "difficoltà pastorali" che un cambio di traduzione avrebbe prodotto, seminando nei fedeli il timore che la salvezza di Cristo non fosse offerta, appunto, "per tutti". Già membro della commissione teologica internazionale e ordinato vescovo nel 2004 dall'allora card. Joseph Ratzinger, Forte è oggi arcivescovo di Chieti-Vasto. Ma è indicato da anni come in corsa per sedi cardinalizie di alto livello: da ultimo a Palermo e Bologna, i cui attuali arcivescovi andranno in scadenza nel 2013. Non solo. Si vocifera anche di una sua chiamata a segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, in sostituzione dell'attuale titolare Luis Francisco Ladaria Ferrer, destinato a una grande diocesi di Spagna. E c'è chi collega queste attese di promozione all'insistenza con cui Forte difende il "per molti" voluto fermamente dal Papa. Ma tornando alla polemica sul "pro multis", nel suo articolo su Avvenire Forte si dice contrario anche alle traduzioni suggerite nei mesi scorsi da due biblisti e liturgisti italiani, Silvio Barbaglia e Francesco Pieri, ricalcate sulla versione "pour la multitude" in uso nella Chiesa di Francia: "per moltitudini immense" o "per una moltitudine". Gli argomenti di questi due studiosi, entrambi inizialmente favorevoli a mantenere la versione "per tutti", sono stati riassunti la scorsa estate da www.chiesa in un servizio che sottolineava il loro avvicinarsi alle posizioni di Benedetto XVI. Ma il secondo dei due, Francesco Pieri, sacerdote della diocesi di Bologna e docente di liturgia, di greco biblico e di storia della Chiesa antica, ha contestato tale interpretazione. Nega di volersi accostare alle posizioni del Papa. Continua a giudicare "cattiva" e "falsamente fedele" la versione "per molti". E spiega di aver proposto la versione "per una moltitudine" come unica alternativa accettabile all'ormai "irreversibile" abbandono del "per tutti" deciso dalle autorità vaticane. Anzi, nella seconda delle due note sul tema da lui pubblicate nel 2012 su Il Regno, Pieri si è spinto molto più in là. Ha scritto che gli studiosi ai quali Benedetto XVI ha fatto riferimento a proprio sostegno nella sua lettera ai vescovi tedeschi non solo sono "pochissimi" ma neppure sono affidabili: "Non sono esegeti di professione e per giunta risentono di una mentalità apertamente tradizionalista, pregiudizialmente assai critica nei confronti della riforma liturgica promossa dal Vaticano II". Ma soprattutto ha chiuso la nota con una esplicita minaccia di insubordinazione, condita da un sarcastico richiamo alla liberalizzazione del rito romano antico della Messa: "Stante la già annunciata tensione che deriverebbe dall’entrata in vigore della traduzione 'per molti', non è affatto remoto il rischio che non pochi celebranti ne aggirerebbero l’ostacolo con adattamenti oppure continuando ad attenersi alla formula precedente. Con quale credibilità, con quale speranza di accoglienza, si potrebbe allora invocare il principio dell’unità pastorale, proprio nella strana stagione ecclesiale che ha visto inopinatamente tornare in vigore una forma del rito romano già sostituita dalla sua riforma e perciò giuridicamente 'abrogata'? Oppure dovremo invocare un Motu Proprio che consenta di utilizzare un’ulteriore forma straordinaria del rito romano in favore di quanti, come il sottoscritto e una moltitudine di altri. ritengono di non poter accettare in coscienza la traduzione 'per molti'? Sarebbe quanto mai opportuno che fedeli e pastori della Chiesa italiana, non da ultimi i teologi e le persone di cultura, manifestassero con più franchezza, in tutte le sedi in grado di alimentare un dibattito pubblico quanto più ampio possibile, le loro riserve nei confronti di questa paventata scelta di traduzione". Curiosamente, quest'ultimo appello ai dissenzienti è diventato realtà proprio sulla stessa pagina di Avvenire, il giornale della conferenza episcopale italiana, nella quale Forte ha perorato la causa del "per molti". A fianco dell'articolo del vescovo-teologo c'era infatti un intervento di segno opposto a firma del teologo Severino Dianich, vicario episcopale della diocesi di Pisa per la pastorale della cultura e dell’università, che così terminava: "A questo punto mi domando se non sia giusto preoccu­parsi di una cosa sola, cioè del ri­scontro di un eventuale cambia­mento sui fedeli, soprattutto sui me­no dotti, sui più poveri, su coloro che accolgono le cose più con la sensibi­lità che attraverso il ragionamento, che inevitabilmente resterebbero turbati dal cambiamento. Se non è indispensabile, perché creare dei problemi? Diversi vescovi hanno col­to benissimo la questione pastorale, propo­nendo con buon senso che tutto resti come pri­ma e non si cambino le grandi parole, che da quarant’anni risuonano nelle nostre chiese, proclamando che il sangue di Cristo è stato ver­sato 'per tutti'".

Sandro Magister, www. chiesa

La salvezza di Cristo dono offerto a tutti

La traduzione del "pro multis". Il tema è la salvezza

"Pro multis". La traduzione del Papa guadagna consensi

Anno della fede. Presentata la XXI Giornata Mondiale del Malato: un momento particolare di riflessione, di preghiera, di rinnovata attenzione da parte della Chiesa e di tutti i credenti, verso i problemi che riguardano la cura della vita, l’assistenza ai malati, l’aiuto a chi soffre

“Il Buon Samaritano: ‘Va ed anche tu fa lo stesso’” è il tema della XXI Giornata Mondiale del Malato che verrà celebrata l’11 febbraio presso il Santuario mariano di Nostra Signora di Altotting, in Baviera (Germania). Se ne è parlato questa mattina in una Sala stampa vaticana, dove sono intervenuti a presentare il Messaggio del Papa e il programma della celebrazione i responsabili del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. “Tale Giornata Mondiale - ha ricordato il presidente del dicastero, arcivescovo mons. Zygmunt Zimowski - intende essere un momento particolare di riflessione, di preghiera, di rinnovata attenzione da parte della Chiesa e di tutti i credenti, verso i problemi che riguardano la cura della vita, l’assistenza ai malati, l’aiuto a chi soffre”. Tra gli esempi di “testimoni” che hanno particolarmente avuto a cuore nella loro vita i malati, mons. Zimowski ha ricordato Santa Teresa del Bambino Gesù, il venerabile Luigi Novarese, Raoul Follereau, la Beata Teresa di Calcutta, Sant’Anna Schaffer di Mindelstetten. Il sottosegretario padre Augusto Chendi ha poi illustrato le pubblicazioni e le iniziative del dicastero, tra le quali un sussidio in vista della Giornata offerto alle Conferenze Episcopali per essere diffuso nelle parrocchie. In Polonia, ad esempio, ne sono state stampate 15mila copie e in Italia l’Unitalsi lo ha adottato per i propri pellegrinaggi. “Dalla prima Giornata Mondiale del Malato celebrata a Lourdes nel 1993 per iniziativa del Beato Giovanni Paolo II, i principali Santuari mariani del mondo e alcune città-simbolo sono stati testimoni dell’attenzione della Chiesa per chi soffre”. Lo ha detto il segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Jean-Marie Mupendawatu. Tra i luoghi-simbolo scelti nel corso degli anni ha ricordato Czestochowa (1994), Fatima (1996), Loreto (1998) e poi Sydney (2001), Washington (2003), Adelaide (2006), Seul (2007). “Per volontà di Benedetto XVI - ha aggiunto - dopo Seul le Giornate Mondiali vengono celebrate per due anni consecutivi a livello locale, delle Chiese particolari, riprendendo l’appuntamento mondiale il terzo anno. Così è quest’anno con la Giornata ad Altotting, in Germania”. Il teologo padre Janusz Surzykiewicz, docente all’Università Cattolica di Eichstatt-Ingolstadt, ha illustrato i contenuti del convegno scientifico che precederà la celebrazione della Giornata Mondiale. “Le relazioni previste, con docenti di varie discipline scientifiche, teologiche, psicologiche e pastorali - ha affermato - approfondiranno i bisogni dei malati, che non sono solo di tipo medico ma anche spirituale. Questo con un orientamento non solo cattolico ma anche protestante, di altre religioni e agnostico”.

SIR

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO (11 FEBBRAIO 2013): MESSAGGIO DEL SANTO PADRE E CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA IN BAVIERA

Il calendario delle celebrazioni presiedute da Benedetto XVI nei mesi di febbraio e marzo: la Messa con i religiosi, il Concistoro per i nuovi Santi, la Quaresima e la Settimana Santa

L’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche Pontificie ha reso note le cerimonie che vedranno coinvolto Benedetto XVI nei prossimi due mesi. La pietra e lo Spirito, i carismi religiosi uniti al Papa: è l’immagine che ogni anno restituisce in modo plastico la Messa presieduta e concelebrata dal Pontefice con i membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di Vita Apostolica. Accadrà anche quest’anno, il 2 febbraio alle 17.30 in San Pietro, nella festa della Presentazione del Signore e XVII Giornata mondiale della Vita consacrata. A questo primo impegno dell’agenda di febbraio, seguirà per Benedetto XVI, lunedì 11, il Concistoro per alcune Cause di Canonizzazione. Due giorni dopo, Mercoledì delle ceneri, un’altra antica tradizione vedrà il Papa presiedere alle 16.30, nella Basilica romana di Sant’Anselmo, la Statio e la processione penitenziale fino alla Basilica di Santa Sabina, conclusa dalla benedizione e dall’imposizione delle Ceneri. L’inizio della Quaresima sarà caratterizzato dalla settimana di Esercizi spirituali al Papa e alla Curia romana, in programma da domenica 17 a sabato 23 febbraio, ospitati come di consueto nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano e predicati quest’anno dal card. Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificio Consiglio della Cultura. Con domenica 24 marzo si apre la Settimana Santa 2013. Alle 9.30 Benedetto XVI presiederà la Messa, preceduta dalla benedizione delle Palme e dalla processione. Quindi, sarà la volta dei riti del Triduo pasquale, preceduti dalla Messa del Crisma, che Benedetto XVI presiederà alle 9.30 del Giovedì Santo nella Basilica Vaticana, e quindi inaugurati nel pomeriggio dello stesso giorno alle 17.30, in San Giovanni in Laterano, con la Messa in Coena Domini. Alle 17 del Venerdì Santo, Benedetto XVI sarà di nuovo in San Pietro per la celebrazione della Passione del Signore per poi spostarsi al Colosseo per presiedere al rito della Via Crucis, con inizio alle 21.15. Il giorno successivo, Sabato Santo, l’appuntamento è per la “Madre di tutte le Veglie”, alla quale il Papa darà inizio alle 20.30 nella Basilica Vaticana, per poi approdare alla mattina di Pasqua e alla celebrazione eucaristica solenne, che Benedetto XVI presiederà in Piazza San Pietro dalle 10.15 e che sarà da tradizione conclusa con la Benedizione Urbi et Orbi, impartita dalla Loggia centrale della Basilica.

Radio Vaticana

CALENDARIO DELLE CELEBRAZIONI PRESIEDUTE DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (FEBBRAIO – MARZO 2013)

Nell'udienza del Papa al primo gruppo di vescovi della Campania il senso della legalità, l'attenzione alla giustizia sorretta dalla carità, la sensibilità soprattutto verso i più poveri e gli umili, i valori fondamentali della vita e della famiglia

"Il senso della legalità, l'attenzione alla giustizia sorretta dalla carità, la sensibilità soprattutto verso i più poveri e gli umili, i valori fondamentali della vita, della famiglia". Il vescovo di Avellino, mons. Francesco Marino, ricevuto ieri in visita "ad limina" con un primo gruppo di presuli della Campania, ha elencato alla Radio Vaticana i temi "che stanno sempre a cuore al Santo Padre", così come il Papa stesso li ha sottolineati "man mano che noi vescovi li mettevamo in evidenza". "Ho imparato alcune cose della vostra storia", ha detto il Pontefice ai presuli campani perchè, ha spiegato mons. Marino, "ognuno di noi presentava anche gli aspetti del cammino storico delle nostre chiese, i Santi, le esperienze, e il Santo Padre coglieva immediatamente i punti salienti dei nostri interventi". "Per la verità ci ha confortato molto con le sue parole e ha anche confermato i cammini intrapresi che a lui stanno molto a cuore: quello dell'evangelizzazione e quello della fede", ha confidato il vescovo di Avellino rivelando di essere rimasto molto colpito "dalla sensibilità del Papa, che ha seguito con molta attenzione i nostri interventi, uno a uno". In Campania "viviamo una situazione di frontiera, nel senso che e' come se l'illegalita' avesse conquistato tutto il territorio, dove neanche le istituzioni spesso riescono a contrapporsi a questo sfacelo", ha affermato da parte sua il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli. Per Sepe, la povertà "facilita enormemente" l'avanzata della delinquenza: "Il problema dei problemi è la mancanza di lavoro, il fatto che qui in Campania non solo non si arriva a fine mese, ma non si arriva neanche a metà mese, il fatto che gli anziani non hanno un'assistenza adeguata: tutto questo aiuta la camorra e tutte le organizzazioni malavitose a 'impossessarsi' della nostra gente, a strumentalizzarla per i propri scopi". "La Chiesa - ha sottolineato - alza la voce per richiamare tutti al dovere di sconfiggere insieme questo male, questo cancro". Secondo il card. Sepe, "tale impegno della Chiesa per salvaguardare la dignità della persona, e in particolare dei nostri giovani che non vedono uno spiraglio per il loro futuro e a volte sono in balia di queste organizzazioni malavitose, ha una buona risonanza". Infatti, "la Chiesa campana è una Chiesa viva, dinamica, con un buon numero di sacerdoti". E come vescovi, ha aggiunto Sepe, "vogliamo aprire le porte delle nostre chiese per entrare nelle case, nei vicoli, nella piazze e ascoltare, parlare e vivere con la gente, a volte persone che non hanno voce, ma che comunque fanno sentire la drammaticità del momento". "Vedo anche laici molto impegnati nella vita sociale che - ha continuato il cardinale - cercano di dare un'anima questa realtà, una società spesso senza anima, delusa, amareggiata, e quindi il loro sforzo di portare la speranza, la fiducia, per salvaguardare quei valori tradizionali della nostra gente". Come pastori, ha assicurato Sepe, "noi facciamo il nostro dovere che viene dettato dal Vangelo di Cristo, naturalmente sempre con il cuore aperto ad accogliere tutti coloro che coscienti del male che fanno vogliono pentirsi realmente". "Spero però - ha detto ancora l'arcivescovo di Napoli - che questo sia un segno forte anche per le istituzioni, perche' anche loro si possano impegnare come è loro dovere per un'azione che salvaguardi la dignità della nostra gente". Sepe ha ricordato che l'Episcopato italiano e la Santa Sede hanno espresso "tutta una serie di prese di posizione molto forti che incidono, soprattutto nella coscienza: una coscienza direi rinnovata su quella che è la corresponsabilità di tutti, innanzitutto dei cristiani". "Io stesso per esempio sono intervenuto per dire che questa gente che ammazza ogni giorno, che fa violenza non è cristiana", ha infine concluso Sepe promettendo che "a breve pubblicheremo Catechismo della Chiesa napoletana, proprio per affrontare questi problemi che ci riguardano più da vicino".

Agi

Pasqua 2013. Oltre che evocare la tragedia della guerra e del fondamentalismo, la scelta di affidare i testi della Via Crucis al Colosseo ai giovani libanesi un modo per scommettere sulla sfida della trasmissione del messaggio cristiano a una generazione che anche a Beirut vive la sfida del confronto con la secolarizzazione

Saranno due giovani libanesi, sotto la guida del patriarca maronita Béchara Rai, a scrivere le meditazioni per la Via Crucis che come ogni anno il Papa presiederà al Colosseo la sera del Venerdì Santo. Da quando questo rito è stato reintrodotto da Paolo VI nel 1964, è la prima volta che la redazione dei testi della Via Crucis al Colosseo viene affidata ad alcuni giovani. Ed è significativo che questo avvenga proprio nell’anno in cui a luglio si celebrerà a Rio de Janeiro la Giornata Mondiale della Gioventù. In questo senso si può osservare anche una continuità con la scelta dell’anno scorso, quando in vista dell’Incontro Mondiale delle famiglie di Milano Benedetto XVI chiamò a questo compito una coppia di sposi, Anna Maria e Danilo Zanzucchi. Ovviamente, però, a colpire è soprattutto la scelta del Libano, dove il Papa si è recato nel settembre scorso per promulgare l’Esortazione Apostolica "Ecclesia in Medio Oriente". Proprio l’incontro con i giovani sul prato davanti al patriarcato maronita di Bkerké fu uno dei momenti più significativi di quel viaggio. Tra i presenti c’erano anche dei giovani cristiani giunti dalla Siria, a cui Benedetto XVI disse: "Dite a casa vostra, ai familiari e agli amici, che il Papa non vi dimentica. Dite attorno a voi che il Papa è triste a causa delle vostre sofferenze e dei vostri lutti. Egli non dimentica la Siria nelle sue preghiere e nelle sue preoccupazioni. Non dimentica i mediorientali che soffrono. È tempo che musulmani e cristiani si uniscano per mettere fine alla violenza e alle guerre". È facile immaginare, dunque, che l’eco di questo Calvario di oggi sarà presente anche nei testi che i due giovani libanesi (di cui ancora non si conosce l’identità) stanno preparando insieme al card. Béchara Rai. Lo stesso Paese dei Cedri, del resto, vive di riflesso le lotte di Damasco, sia per via dei suoi equilibri politici sempre fragili sia per via delle ormai centinaia di migliaia di profughi siriani in fuga dalla guerra giunti entro i suoi confini. Oltre che evocare la tragedia della guerra e del fondamentalismo, però, la scelta di affidare la Via Crucis dell’Anno della fede ai giovani libanesi sembra anche un modo per scommettere sulla sfida della trasmissione del cuore del messaggio cristiano a una generazione che anche a Beirut oggi vive la sfida del confronto con la secolarizzazione. Non a caso, proprio nel discorso tenuto a Bkerké, il Papa aveva invitato i giovani libanesi a non scegliere, di fronte alle frustrazioni presenti, la via della fuga "in mondi paralleli come quelli delle droghe di ogni tipo, o la tristezza della pornografia". E alla generazione dei social network aveva chiesto di sviluppare "iniziative che diano senso e radici alla vostra esistenza, contrastando la superficialità e il facile consumismo".

Giorgio Bernardelli, Vatican Insider

Nel primo mese di vita dell'account Twitter '@Pontifex' oltre 270mila risposte ai tweet di Benedetto XVI. I messaggi con un contenuto neutro e positivo superano quelli negativi

Il numero dei follower (oltre due milioni e mezzo, dei quali un milione e mezzo di lingua inglese) non è l'unico dato importante per una valutazione sulla presenza di Benedetto XVI  su Twitter: per la rivista Popoli dei gesuiti di Milano è interessante anche il numero delle risposte ai tweet di Benedetto XVI che sono stati 270.456 nel primo mese di vita dell'account @Pontifex. Tra questi "oltre 200mila avevano un contenuto neutro, 26.426 sono stati classificati come positivi, la categoria più rappresentata è quella della ripresa di tweet e frasi dello stesso Papa (26,5%), seguita da ringraziamenti e auguri (25%). Avevano invece un carattere “negativo” 22.542 tweet , tra i quali il 25 per cento (circa 5 mila) "consistevano in vere e proprie ingiurie".

Avvenire